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Zeljeznicar, dall’incendio del ’92 alla crescita del cigno di Sarajevo

Dopo 24 anni l’Italia torna a giocare a Sarajevo, in un clima molto diverso dall’ultima volta, nel 1996. La Nazionale tricolore giocherà nello stadio Grbavica, cuore pulsante del conflitto della ex Jugoslavia e dove solitamente disputa le sue partite lo Zeljeznicar, squadra dove è cresciuto Edin Dzeko. 

Zeljeznicar, l’inizio della guerra

La storia dello Zeljeznicar è lo specchio della storia della guerra. Il tutto partì il 5 aprile 1992, quando era in programma una partita del campionato jugoslavo contro il Rad di Belgrado. Il match fu fermato a causa delle raffiche provenienti dalle colline circostanti. Lo stadio Grbavica di Sarajevo dista circa 700 metri dal confine con Istočno Sarajevo, la città gemella che fa parte della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, la regione autonoma a maggioranza serba. Il confine tra Sarajevo e la sua vicina segnava ovviamente anche una linea del fronte. Il 4 maggio 1992 lo stadio venne incendiato dalle forze serbe e l’esercito jugoslavo. A causa delle fiamme andarono persi oltre trecento trofei. Lo stadio infatti era soprannominato Dolina Ćupova, la Valle delle Coppe.

La liberazione del quartiere Grbavica

Negli anni successivi calciatori e tifosi dello Zeljeznicar si unirono per difendere Sarajevo dall’assedio, durato 4 anni. Si intrecciarono storie di uomini, di eroi come Dževad Begić, che da capo ultras passò a combattere sul fronte, perdendo la vita nel tentativo di aiutare una concittadina ferita da un cecchino. Uomini come Ivica Osim, l’allenatore della squadra durante il 1985, che a Belgrado lasciò la guida della nazionale jugoslava in lacrime, ricordando a tutti cosa stava succedendo nella sua città.
Durante la guerra lo Zeljeznicar dimostrò quanto fosse prima una comunità e poi, in secondo luogo, una società di calcio. Tutti si impegnarono nella lotta alla liberazione della città e lottarono fino alla liberazione della città e del quartiere di Grbavica, da cui prende il nome lo stadio omonimo.
La guerra ha lasciato una grande impronta sul club, che nella seconda parte degli anni Novanta ha portato sul proprio stemma il simbolo dell’esercito della Repubblica di Bosnia-Erzegovina.

La nascita, la resistenza e la rivalità con il FK Sarajevo

Lo Zeljeznicar nacque club aperto a tutti. Fu fondato nel 1921 da un gruppo di ferrovieri. Al tempo, ogni associazione sia sportiva che non sportiva, doveva indicare nel proprio nome l’appartenenza etnica dei suoi componenti. I ferrovieri presero la decisione che il loro nuovo club sarebbe stato aperto a tutti, indipendentemente dall’appartenenza nazionale, religiosa o sociale. Un po’ come l’Inter, nata da una costola del Milan i cui fondatori si posero l’obiettivo di essere “fratelli del mondo”.

Nel 1941, durante l’occupazione nazista, il club rifiutò di partecipare ai campionati organizzati dallo stato filofascista della NDH, vedendosi così preclusa ogni attività. Una squadra che scelse la strada della resistenza. Nel 1947, lo Zeljeznicar fu obbligato a cedere i suoi sei calciatori più importanti al club appena nato FK Sarajevo. Questo doveva essere il rappresentante della città nella neonata Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Un calciatore, Joško Domorocki, non accettò il trasferimento. La sua immagine è ancora oggi su uno striscione del settore Sud dello stadio Grbavica. Da qui nacque la grande rivalità con il FK Sarajevo.

Il cigno di Sarajevo

1 giugno 1993Dobrinja, quartiere nella parte ovest di Sarajevo. Due granate colpirono un campetto dove si stava svolgendo un improvvisato torneo giovanile. 13 morti, 133 feriti, secondo il bilancio ufficiale delle Nazioni Unite. In campo poteva esserci anche Edin Dzeko, se solo la madre non gli avesse impedito di uscire di casa.

Una volta finito l’assedio, Edin riuscì a ritagliarsi un posto nelle giovanili dello Zeljeznicar grazie agli incoraggiamenti del padre Midhat, anche lui calciatore in gioventù, con un passato nella seconda divisione jugoslava. A Sarajevo mosse i primi passi nel mondo del calcio. Nel 2005 passò al Teplice, squadra ceca, per 30.000 euro. Poi l’esordio in Nazionale, il Wolfsburg, il Manchester City e infine la Roma.

Gli impegni umanitari

Oltre che dagli impegni sportivi Edin Dzeko è famoso nella sua nazione anche per l’impegno umanitario. Il bosniaco è infatti diventato il primo ambasciatore UNICEF per la Bosnia-Erzegovina. Una posizione non completamente ammirata dai suoi connazionali dato che Edin è musulmano e che la Bosnia è un paese profondamente diviso, sia a livello culturale, le lingue ufficiali sono infatti 3, sia a livello religioso, dato che si intrecciano musulmani, cristiani ortodossi e cristiani cattolici. Un fatto che si riflette anche a livello amministrativo, il paese è infatti diviso in due entità e un distretto, che a loro volta si dividono in cantoni e regioni. Il Presidente della Repubblica cambia ogni 8 mesi, così da rappresentare le 3 etnie principali nel corso di 4 anni.

Un paese che rimane diviso ma che è pronto ad ospitare l’Italia stasera nel match di Nations League. Il grande simbolo di Sarajevo, Dzeko, sarà il grande assente della serata, a causa della positività al Covid-19.

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Published by
Giulia Bianchi