Se, come diceva Théophile Gautier, la vita è una lotta senza tregua, possiamo dire che il calcio, almeno quello nazionale, in questo momento storico così prossimo alle nostre vite, gode del privilegio dell’interruzione.
Un beneficio obsoleto nel nostro mondo che viaggia, come tutti i nostri affari, alla velocità del 5G.
Un beneficio del quale abbiamo scordato il significato: cessate il fuoco, ragionate.
Erano tregue quelle, come la famosa Trêve de Noël del 1914, che sospendevano le guerre.
La guerra è ciò di cui la nostra generazione non si è mai preoccupata, era troppo “avanti” per farlo. Forse troppo “avanti” per accorgersi di averne centinaia ad un palmo dal naso. Troppo “avanti” per capire che il nemico non è fatto obbligatoriamente di carne ed ossa, può viaggiare e attaccare attraverso la fibra o dei banalissimi droplet.
La vita a quei tempi non aveva tregue, non ne ha mai avute, ma tutto ciò che non era importante si fermava, per salvaguardare “vite”. Oggi, tutto deve, comunque andare avanti. Siamo i figli dello “show must go on”.
Ma sopratutto i figli dei soldi, la liquidità più importante del pianeta, molto più dell’acqua. Hanno bisogno di scorrere, e difficilmente possono farlo a tv spente. È tutto ciò che rende al calcio lo stesso valore della scuola, o anche un po’ di più.
Un calcio, almeno quello italiano, che da quando è ripartito conta cinquanta contagi e più, una partita rinviata e un’altra sulla quale nemmeno un giudice riesce a giudicare. Siamo solo alla terza giornata. E mentre nel Paese si registrano gli stessi numeri tremendi che tanta paura ci facevano in pieno lockdown, ci arriva la notizia che Cristiano Ronaldo pare abbia alzato la voce con i dirigenti a causa dell’isolamento fiduciario impostogli dall’Asl, per poi alzare i tacchi e volarsene in Portogallo. E chissenefrega.
Eppure, mentre si allunga l’ombra lunga di un campionato falso e falsato, si palesa l’opportunità, dataci dalla sosta, di godere del privilegio dell’interruzione. A fare luce su di esso è un uomo di 42 anni che risponde al nome di Daniele Faggiano, ds del Genoa. Un uomo che sta vivendo sulla propria pelle l’applicazione di un protocollo nosense, la smania di fare orecchie da mercante e lo sbandieramento di quell’ottuso ottimismo professato dal nostro CT e dai vertici della Lega.
“Chiudeteci in una bolla per 4-5 mesi” ha chiesto quell’uomo.
L’Associazione Italiana Calciatori, attraverso la voce di Umberto Calcagno, ha subito lasciato intendere che non se ne parla. Mai questo movimento è stato così coeso.
Ma la bolla potrebbe essere il giusto compromesso, l’unica soluzione capace di dare il giusto peso al tempo che stiamo vivendo, il giusto rispetto ai morti, la giusta moneta alle società e alle TV.
In USA, primo Paese al mondo per numero di contagi, quella che sembrava una folle e sconsiderata iniziativa della lega NBA ha retto. La più grande industria sportiva del mondo ha chiuso i più forti giocatori di basket del pianeta in un unico complesso isolato da qualsiasi forma di vita.
Sta per giocarsi l’ultimo atto delle Finals e non c’è stato un positivo in tre mesi nel campus Disney.
Gli atleti “viziati”, che mai avrebbero potuto accettare la reclusione, si sono rapidamente adattati, dedicando il proprio tempo libero al golf, alle battute di pesca, al ping pong e alle gite in barca. Gli allenamenti a scaglioni sono diventati quasi piacevoli. Sono tornati un po’ bambini e un po’ più umani.
I tifosi hanno visto molto di più di quanto avrebbero potuto vedere dagli spalti, hanno vissuto quasi in simbiosi con i propri idoli, ritrovando quel sapore antico di vicinanza alla propria squadra grazie a contenuti social creati direttamente dai giocatori. C’è stata un fruizione dell’immediatezza che nessun media avrebbe potuto fornire.
Il livello di gioco è stato altissimo. L’isolamento e la paradossalità hanno prodotto bellezza e intensità, un basket carico e elettrico, esuberante e fisico.
Abbiamo davanti agli occhi un esperimento economico e sociale riuscito, che ci ha dimostrato che si può fare, se si vuole. Che forse è l’unico modo per rispondere all’obbligo di andare avanti. L’alternativa è ciò che abbiamo ora: il caos.
Sam Anderson sul New York Times ha scritto “Dentro la bolla il basket era eterno. Il Covid non poteva toccarlo. La politica non poteva toccarlo. La bolla, contro ogni previsione, si è rivelata indistruttibile». È tutto ciò di cui il nostro calcio ha bisogno, una tregua, per superare una bolla che lo ha estraniato dalla realtà.