Francesco Totti torna nuovamente a parlare della sua Roma in una lunga intervista a “Sette”, settimanale del Corriere della Sera. Nastro dei ricordi riavvolto al 2017, anno del suo ritiro:
“Mi dispiace tantissimo non essere più dentro la Roma. Tantissimo. Per me era non dico la seconda casa ma quasi la prima. Sono cresciuto là e morirò lì dentro. Per me era impensabile un giorno cambiare strada e andare via da Trigoria. Ma stavo con le spalle al muro, non potevo sottrarmi, dovevo prendere questa decisione. Drastica, brutta, però ho dovuto farlo per rispetto a me stesso. E ai tifosi”.
“Sapevo che prima o poi avrei dovuto smettere. Bisogna essere realisti. A 40 anni è pure difficile arrivare e continuare a giocare al livello giusto. Però nel mio caso sono stato costretto. Una soluzione si poteva trovare, insieme. Avrei voluto smettere in un altro momento. Avrei voluto essere io a prendere la decisione”.
“Se ho qualcosa da dire? No, per me è stata chiusa nel momento in cui lui è andato via e io ho smesso di giocare. Per me lì c’è stata la chiusura definitiva. È inutile dire che ci sarebbero altre cose da sottolineare o da fare. Non servirebbe a niente, ormai è successo. Ha sbagliato lui, ho sbagliato io, ha sbagliato la società, non so chi ha sbagliato. Ormai è successo, è passato. Mettiamolo nel dimenticatoio, giriamo pagina“.
L’ex capitano della Roma ha poi parlato della serie tv ‘Speravo de morì prima’ in uscita su Sky il 19 marzo: “Nel documentario ero io che raccontavo, per me era più facile identificarmi. E comunque mi sono riconosciuto. Come anche nella serie, che era più difficile perché è finzione, invenzione e io non ero più l’io reale ma un attore che doveva fare quello che facevo io. Un meccanismo che mi ha fatto capire alcune cose del mio carattere, del mio modo di fare che solo l’occhio degli altri ti può mostrare con sincerità e schiettezza”.
“Se Carlo Verdone se la sentisse, potremmo interpretare un remake di ‘In viaggio con papà'”.
“Sono successe tante cose. Prima l’arrivo dei social che ha fatto sbarellare e rendere più individualisti i giocatori, poi questa anomalia di un campionato col Covid e senza pubblico. Ma il problema è più di fondo, stanno sparendo i campioni. Ci sono meno campioni e più giocatori costruiti”.
“Cosa mi piacerebbe fare nella Roma di Friedkin? Sinceramente non ci ho mai pensato e non ci sto pensando. Adesso ho intrapreso questo nuovo lavoro, il management dei giovani talenti, e quando parto con una nuova avventura cerco di portarla a termine. Ora lasciare alcune persone per strada e ritornare nella Roma mi sembrerebbe scorretto nei confronti di questi ragazzi. Poi tra due, tre, cinque, dieci anni, chissà. Nella vita mai dire mai. Quando ci sarà l’occasione di incontrarsi con loro ne parleremo con serenità, con tranquillità”.
“De Rossi? Gran giocatore, è stato un fratello, è sempre stato mio tifoso. Quando giocavo lui faceva il raccattapalle e, come ha detto lui, sono sempre stato un suo idolo. Siamo cresciuti quasi insieme. Mi dispiace che abbia fatto il capitano per così poco tempo. Gli ho fatto un po’ da tappo, ma non è stata colpa mia. Cassano? È stato il giocatore con il quale mi sono divertito più di tutti, abbiamo fatto delle cose impensabili, da circo. Però per me lui si è espresso al 30-40% delle sue potenzialità. Gliel’ho sempre detto: se lui mi avesse ascoltato un po’ di più, avrebbe fatto la mia stessa trafila, cioè sarebbe rimasto a Roma per vent’anni, di sicuro. A Roma la gente era innamorata di lui. Cavolate o non cavolate, carattere non carattere, lui in campo era quello che era. Un fenomeno”.