Dicembre 2012. La società della Roma avvia il progetto per la costruzione di un nuovo stadio, trainata da una nuova ambiziosa proprietà guidata da James Pallotta. Il neo patron, a luglio 2012, è diventato ufficialmente il nuovo presidente dei capitolini subentrando a Thomas DiBenedetto. La nuova governance non perde tempo: vuole una grande Roma, moderna e vincente. Dopo una cernita di 80 aree appetibili, il club sceglie quella di Tor di Valle per far sorgere il nuovo tempio dei giallorossi.
Passano due anni. Il Primo Cittadino di Roma è Ignazio Marino che, nella metà del 2014, accoglie il progetto dei giallorossi. Viene approvata la prima delibera di pubblico interesse e, lo stadio della Roma, da semplice sussurro diventa un piano vero e proprio che piace ai tifosi e può portare lustro a tutti il movimento calcio italiano. La presentazione in Campidoglio è un successo. Nel 2016 Roma passa tra le mani di Virginia Raggi che, con sé, porta una mentalità conservatrice che già ha bloccato il sogno delle Olimpiadi. Il neo sindaco, tuttavia, non mostra una chiusura totale ma esige una ‘rivisitazione’ che tenga conto del patrimonio culturale dell’area. Viene imposto il taglio delle cubature che porta all’eliminazione dal progetto delle torri di Libeskind, degli imponenti grattacieli attorno allo stadio.
Tra ridimensionamenti e accorgimenti vari, il progetto sembra riprendere di nuovo quota ma, nel 2018, arriva il primo grande stop. Il 13 giugno del 2018, infatti, Roma si sveglia nel subbuglio di uno scandalo che porta a 9 arresti della noblesse politico-imprenditoriale. Una bomba in stile 1992. Tangenti, mazzette e tanti iter illeciti attorno allo stadio di Pallotta. La Roma è completamente estranea ai fatti, anzi, è probabilmente la vera vittima di un metodo politico che, dopo 20 anni, sembra non esser mai cambiato. “Un modello di corruzione sistemica” scrivono i giornali, basandosi sulle ordinanze di custodia cautelare del Gip di Roma. Una sconfitta totale, collettiva, ‘di larghe intese’. Dentro allo scandalo, oltre all’immobiliarista Luca Parnasi, vi è la crème de la crème della politica italiana.
Il progetto prova a ripartire, andando oltre all’ennesima vergogna dei palazzi tricolore. Ci prova, ma non ci riesce. Si discute, si cercano soluzioni ma nulla da fare. Ad agosto 2020, James Pallotta lascia la Roma e cede l’86,6% delle quota a Dan Friedkin, con il rammarico di non esser riuscito a costruire quella meraviglia che avrebbe proiettato la Roma in una nuova fase di sviluppo e modernità.
“Non sussistono più i presupposti per confermare l’interesse all’utilizzo dello stadio da realizzarsi nell’ambito dell’attuale progetto immobiliare relativo all’area di Tor Di Valle, essendo quest’ultimo progetto divenuto di impossibile esecuzione”. Con queste brevi parole, nella giornata di ieri, il nuovo establishment della Roma ha annunciato la resa, anche se il club continua a monitorare altre aree per il progetto stadio. 8 anni di nulla, di sconfitte e di imbarazzo. 8 anni persi per la Roma. 8 anni che, ancora una volta, mostrano una triste, spiacevole fotografia dell’Italia burocratica.