Tabarez fa 100 vittorie con l’Uruguay: c’è solo un Maestro

Tabarez

JUAN MABROMATA/AFP via Getty Images

Ogni arte ha il suo maestro. Una verità a cui neanche il calcio si sottrae, disciplina sportiva ma schiava di una ricerca continua di estetica e di epicità.

Nel mondo del pallone, si è abusato spesso del ruolo di ‘insegnante’. Per le idee, per gli schemi, per la classe. In pochi hanno dimostrato di meritarsi questo appellativo. Tra questi personaggi, un posto di tutto rispetto lo merita, con pieno diritto, Oscar Washington Tabarez.

A 73 anni, compiuti lo scorso 3 marzo, l’allenatore originario di Montevideo ha firmato una nuova impresa. L’ennesima, in un percorso che meriterebbe – e forse meriterà, chi può dirlo – di essere la sceneggiatura di un film.

Con il 3-0 inflitto alla Colombia, infatti, Tabarez ha raggiunto le 100 vittorie da commissario tecnico dell’Uruguay. Un traguardo che ha dell’incredibile. Come in fondo incredibile è la storia del Maestro per eccellenza.

Guadagnarsi di un soprannome di questo tipo non è cosa da tutti. Meritarselo è per pochissimi. Tabarez è stato incoronato ‘El Maestro‘ da addetti ai lavori, colleghi e giocatori. Tanti dei quali, in fondo, qualcosina gli devono.

Proprio come Edinson Cavani e Luis Suarez. Due centravanti diametralmente opposti, che in comune hanno solamente due cose: la città Natale, Salto, e un profondo legame con Tabarez. Uomo di mondo, di calcio, e di…scuola. Il suo primo luogo di lavoro, svolto per arrotondare lo stipendio da giovane calciatore in Uruguay.

La pazienza avuta coi ragazzi in aula è quella che poi ha deciso di trasmettere ai suoi allievi alle scuole calcio. Fino al grande salto. Senza mai perdere la sua identità da ‘Maestro’.

Un passo importante, per un uomo importante. Una persona tutto d’un pezzo, che non si è mai piegato di fronte alle difficoltà. Di lavoro, economiche e di salute. Quando gli fu diagnosticata la sindrome di Guillain-Barré – disfunzione che ne limita i movimenti – non si è perso d’animo.

Al suo fare deciso e di spirito ha aggiunto l’utilizzo di un bastone. Perché la forza di volontà a volte sa fare la differenza. L’arrivo della malattia sembrava l’inizio della fine per il Tabarez allenatore, che invece non ha mollato. Anzi, ha dato ancora di più.

L’Uruguay gli deve molto. Arrivato ad allenare in due occasioni la Celeste, ha lasciato un segno indelebile sulla storia, sulla cultura e solo in ultimo sull’aspetto sportivo di questo Paese. La prima avventura fu in occasione dei Mondiale del 1990 in Italia, che come input principale ebbe quello di lanciarlo per qualche anno nella storia Serie A (con Cagliari e Milan). Il ritorno, decisamente più glorioso, fu nell’estate del 2006. Quella del successo azzurro a Berlino, che i giocatori uruguagi videro dal divano: un rigore sbagliato da Marcelo Zalayeta (ex Juve e Napoli, per chi ha una buona memoria) eliminò la Celeste e portò in Germania l’Australia. Già, l’Australia…

Anche Tabarez però deve molto all’Uruguay. Trovare una valvola di sfogo, un’occasione di rivincita in un momento di sconforto, è aria pura per un essere umano. Un trattamento che Tabarez si è guadagnato, per la passione e per i risultati. La crescita del movimento calcistico è sotto gli occhi di tutti fin da quella Copa America vinta nel 2011, che diede il definitivo cambio di dimensione alla nazionale uruguagia. Ormai, tra le più temibili.

La pazienza, si dice, è la virtù dei forti. Per un uomo cresciuto in povertà, salito ai vertici del calcio mondiale passando dalle scuole, la pazienza è un biglietto da visita. Una dote, un vanto. Un’arma preziosa, da gestire e da usare con discrezione.

Tabarez è un ‘Maestro’. Su tanti fronti e poi anche nel calcio. Arrivare a 100 vittorie è l’ennesimo traguardo che taglia, con un passo precario ma con la vitalità che lo ha sempre contraddistinto.

Perché il calcio è un’arte, fatta di impeto e passione. Due caratteristiche che Tabarez ha trasmesso alla sua selezione, ormai creata a sua immagine e somiglianza.

Ed è questa in fondo la sua vittoria più grande.