Dal fuggi fuggi generale dei 12 club fondatori, e già pentiti, della SuperLeague, resta ancora qualche speranza di vedere rinascere il progetto dalle proprie ceneri. Secondo Florentino Perez, Andrea Agnelli (che però rischia di perdere a breve la guida della Juventus) e Joan Laporta, quella di una competizione di alto livello tra le big d’Europa resta una necessità. E questo nonostante la condanna unanime arrivata da tutto il fronte, per una volta schieratosi in maniera compatta, del calcio continentale. Compresa, ovviamente, la Liga, che attraverso il suo presidente, Tebas, ha assunto una posizione durissima.
Nel mirino, più che il Barcellona, c’è il Real Madrid. “Florentino lo vedo male, è un presidente disastroso, è perso. E il Real Madrid non è il mio capo”. Così ha tuonato colui che, otto anni fa, ha preso in mano il massimo campionato spagnolo, meritandosi la conferma fino al 2024. Tensione altissima, in Liga, ma che non ha fatto perdere le staffe e l’aplomb al presidente blaugrana, Joan Laporta. Ancora convinto che “La SuperLeague è una necessità“, pur lasciando ovviamente l’ultima parola ai soci. Una posizione passata quasi in secondo piano, ma dal peso specifico non indifferente.
Ovviamente, i soci del club catalano bocceranno la SuperLeague. Una competizione che non ha neanche visto la luce. E da cui tutti, in Italia come in Inghilterra, hanno preso le distanze. Come se, alla fine dei conti, fosse stata una cantonata di Perez e Agnelli, e non un progetto pensato insieme e capace di muovere finanziamenti miliardari. Nell’inversione a U repentina e di massa, la misura, la schiettezza e il rispetto mostrato da Laporta al collega Perez è un unicum. Per il presidente del Barcellona, non salire sul treno della SuperLeague è un “errore storico“, e non ha alcun timore a dirlo e a ribadirlo. Intanto, il progetto finisce in un cassetto, così come o 3,2 miliardi di euro di JP Morgan e, immaginiamo, i 300 milioni di euro di multa previsti per chi abbandona prematuramente il progetto. Ossia, tutti. O quasi.