Era il 2005 quando un rampante Claudio Lotito, da un anno presidente della Lazio, presentava alla stampa il plastico dello Stadio delle Aquile. Progetto avveniristico, che sarebbe dovuto sorgere sui terreni della Tiberina di proprietà presidenziale. Costo, all’epoca: 500 milioni di euro, compresa cittadella dello sport, area commerciale e area residenziale, ovviamente per ammortizzare i costi dello stadio. Passano gli anni, e al netto di qualche sporadica dichiarazione del progetto non si parla quasi più. Il plastico, nel frattempo, è diventato desueto, a Roma si succedono in sindaci, ma nessuno che dia segnali in tal senso. Anche perché, sui terreni della Tiberina c’è un vincolo idrogeologico, superabile secondo Lotito, meno secondo l’amministrazione cittadina.
Sull’altra sponda del Tevere, il progetto del nuovo stadio è stato il cardine intorno al quale si è annodata la presidenza di James Pallotta. Trovati i terreni, quelli di Tor di Valle, ci sono voluti anni per trovare la quadra, in una gara che, nel quinquennio della sindaca Virginia Raggi, è stata al ribasso. Via i grattacieli, infrastrutture ridotte ai minimi termini, e inizio dei lavori in rampa di lancio. Parola della stessa Raggi, di appena qualche giorno fa. Intanto Pallotta non c’è più, la Roma ha una nuova proprietà, decisamente più dinamica ma non meno pragmatica.
I Friedkin sanno bene quanto pesi, in termini di bilanci e crescita uno stadio si proprietà. Ma non a tutti i costi e non necessariamente a Tor di Valle, i cui terreni, stando a “Repubblica”, sarebbero pignorati. “Il complesso immobiliare, non è nella disponibile dell’attuale proprietaria Eurnova Spa”, reciterebbe una nota del Comune della Capitale. Tempi che rischiano di allungarsi ulteriormente, e dopo nove anni l’idea di cambiare obiettivo inizia a balenare anche nella testa dei dirigenti romanisti.
E se la risposta fosse la terza via? Lo suggeriva ieri la “Gazzetta dello Sport”, sostenendo che con la nuova legge sugli stadi l’obiettivo della Roma potrebbe diventare il Flaminio. Ipotesi suggestiva, sostenuta dalle nuove norme, volute con forza dai sindaci delle città, Nardella in primis. Togliendo i vincoli storici ai vecchi stadi, dal Franchi a San Siro, si darebbe il via libera all’ammodernamento degli impianti, permettendo ai Comuni di valorizzare – o vendere, monetizzando – i propri patrimoni immobiliari, ormai stantii. Evitando di cementificare nuove aree. È la direzione verso cui si potrebbe muovere la Fiorentina, e quella già intrapresa dal Bologna. Per la Roma, in realtà, rischia di rimanere più che altro una suggestione.
Già nel 2006 l’allora sindaco di Roma Walter Veltroni aveva proposto il Flaminio alla Lazio, ricevendo però un rifiuto. All’epoca era impossibile fare interventi strutturali massicci, e non c’erano all’orizzonte infrastrutture adeguate. Né la possibilità di costruire nuove aree commerciali e residenziali, come prevedeva invece il progetto di Lotito. Limiti che, in gran parte, resistono ancora oggi, perché è facile parlare di infrastrutture, il problema è sempre farle. E poi, ci sono i numeri: 40.000 tifosi, al massimo delle possibilità. Bastano alle ambizioni della Roma? Che, immaginiamo, in termini di sviluppo societario e crescita, non saranno poi diverse da quelle dei cugini.
E allora, il Flaminio, per il quale il progetto di riqualificazione è già stato presentato, rischia di restare un’ipotesi. Romantica, amata dai tifosi di entrambe le sponde, ma meno dalle società, che guardano a spazi nuovi e dimensioni diverse. Intanto, il tempo passa e il gap con i grandi club europei si allarga. Così come in Italia, perché a Milano, Inter e Milan sembrano avere già le idee chiare, a Firenze Commisso spinge sull’acceleratore, a Bergamo l’Atalanta ha il suo impianto, mentre la Juve, da anni, fa storia a sé.
Lo stadio di proprietà, in un calcio come quello nostrano, incapace di lavorare sul valore del brand, e quindi sull’attrattività all’estero della Serie A, ma anche di strutturare un merchandising da Terzo Millennio, è diventato l’unica via per crescere. Non è detto che sia un bene, anzi: è il sintomo più evidente dell’incapacità di crescere sotto altri aspetti. Però è anche una voce fondamentale dei bilanci di ogni grande – o meno grande – club europeo. E allora, che ognuno si assuma pe proprie responsabilità, e che Roma si doti di impianti all’altezza delle ambizioni e dei sogni dei propri tifosi. Magari, senza abbandonare l’Olimpico a sé stesso: sovradimensionato per Roma e Lazio, ma tra gli stadi monumentali più belli del mondo.