Stadi aperti? No, grazie, non ancora.
Nella nostra redazione, non c’è neanche un virologo, che io sappaia. Ma decine di appassionati di calcio sì. Perlopiù giovani, che non vedono l’ora di tornare a vedere la propria squadra del cuore allo stadio, ma dotati di buon senso. Stare lontani da curve e tribune non è facile per chi nutre una passione così, ma la vita è fatta di priorità. Concetto banale, ma evidentemente ancora mal recepito da alcuni. Che, seppure in buona fede, nutrono ciclicamente speranze che, ad oggi, è del tutto impossibile coltivare. Gabriele Gravina, presidente della Figc, che punta dritto alla rielezione, intervistato ieri da Radio Rai 1 si è lasciato andare ad un certo ottimismo.
“Il campionato sta andando abbastanza bene”, ha detto testualmente Gravina, “ma è privo di un elemento fondamentale, il pubblico, e questo si vede e si sente. Quando potrà ritornare ancora non lo so, ma mi auguro che da gennaio il calcio possa cominciare a ritrovare i suoi tifosi. Un passo che accoglieremo con gratitudine e come segno di serenità dopo momenti tanto difficili”. In base a cosa, non è dato saperlo. Come se bastasse cambiare il calendario appeso al muro per cambiare le cose. Invece, i numeri della pandemia restano spaventosamente stabili, l’indice di positività dei tamponi è costantemente sopra il 10%, e il famigerato indice RT sta risalendo verso l’1, la soglia di emergenza.
Ora, noi non siamo virologi, lo abbiamo scritto all’inizio, ma proviamo a mettere il buon senso davanti a tutto. E in un Paese che ancora non riesce, più o meno comprensibilmente, a garantire a bar e ristoranti di lavorare in normalità, pensare agli stadi aperti è ancora un’assurdità. Si parla di tornare ad ospitare decine di migliaia di persone una accanto all’altra. E peggio sarebbe se la riapertura intesa da Gravina fosse uno spot, e niente più, sulla falsa riga di quelli di inizio anno. Quando in cattedrali deserte riecheggiavano i cori senza ritmo di mille fortunati, invitati dagli sponsor, regalando, più che segnali di speranza, scene grottesche.
Andare allo stadio manca, a milioni di tifosi, dalla Terza Categoria alla Serie A. E anzi, 5 o 10 euro di biglietto sono decisamente più vitali per una piccola società di dilettanti che per una corazzata di Serie A. Da qualunque lato la si guardi, il calcio senza tifosi è monco, triste, apatico. Ma quella della riapertura degli stadi al pubblico, addirittura a gennaio, ossia nell’arco di qualche settimana, è una speranza vana. Del resto, come ha detto lo stesso Gravina, dal Governo non ci sono segnali in tal senso. E, viene da dire, ci mancherebbe altro.
La campagna vaccinale, tra oggi e domani, muoverà il primo simbolico passo, dopodiché ci vorranno mesi per garantire al Paese una copertura sufficiente. Che arriverà, se tutto va bene e se non ci saranno ritardi – ipotesi al momento ardita – alla fine del secondo trimestre del 2021. Quando, in sostanza, il campionato sarà finito. Più che alimentare sogni irrealizzabili, il calcio italiano usi questi mesi per ripensarsi, garantirsi una solidità finanziaria, un piano stadi serio e una valorizzazione del prodotto all’estero, le uniche reali fonti di guadagno. Non a gennaio 2021, ma in un orizzonte temporale ampio, che renda, come lo stesso Gravina dice spesso, sostenibile la nostra Serie A.