Continuità nella discontinuità: si potrebbe descrivere così il 2020 della Roma che, nonostante il cambio di proprietà tra James Pallotta e Dan Friedkin ad agosto, ha mantenuto un rendimento altalenante in campo a cavallo tra la seconda parte della scorsa stagione post-lockdown e l’avvio dell’attuale nello scorso settembre.
Le difficoltà giallorosse ante-Covid19
Prima dello scoppio della pandemia, tra gennaio e febbraio, il 2020 del timoniere Fonseca si inaugurava “sotto una luna storta”: sei sconfitte in nove partite, tra cui l’eliminazione dalla Coppa Italia con il 3-1 con la Juventus e l’1-1 nel derby con la Lazio, avevano decretato una crisi dichiarata, con profonde fratture tra spogliatoio e società, con il progressivo allontanamento del DS Gianluca Petrachi. Il dirigente ex-Torino, infatti, dopo la sfuriata nell’intervallo della sfida con il Sassuolo (con il passivo di 3-0), si è gradualmente distaccato dalle vicende della squadra, rendendosi irreperibile per oltre due mesi a cavallo del lockdown, perdendo così la fiducia dei giocatori e di Fonseca. Questa micro-crisi viaggiava parallela con la macro-instabilità dovuta alle trattative per la cessione societaria che il presidente James Pallotta, la cui popolarità nei tifosi era ormai precipitata, orchestrava dagli States con l’aiuto del fido consigliere Baldini, senza considerare un imprevisto esterno di portata epocale. Il Covid19 faceva infatti saltare il deal con il magnate USA Dan Friedkin, arrivato ad offrire oltre 700 milioni di dollari, causando una grande svalutazione della società.
Una ripresa in chiaroscuro
Alla ripresa del campionato dopo lo stop della serie A, pioveva sul bagnato: altre tre sconfitte su quattro match sembravano compromettere la rincorsa all’Europa. Poi, la grande reazione: una insperata striscia positiva tra luglio e agosto (7 vittorie su 8 match con 23 gol segnati – quasi 3 in media a partita) regalava alla Roma il quinto posto in classifica e la qualificazione ai gironi di Europa League. Proprio dalla seconda competizione continentale, la squadra di Fonseca veniva eliminata, sul neutro di Duisburg, dal Siviglia diretto dall’ex DS Monchi. Un 2-0 senza storia, con i giallorossi – mai pervenuti in campo – interpreti della loro stessa brutta copia rispetto alle buone performances offerte fino a poche settimane prima.
Il passaggio di proprietà e i colpi di mercato
La debacle contro il Siviglia non ha però condizionato il rilevamento – ad agosto inoltrato – della società da parte del neopresidente giallorosso Dan Friedkin. Padrone di un impero nella distribuzione del marchio Toyota negli USA, con forti interessi nell’hospitality e nell’entertainment, il businessman texano ha scelto di investire nell’Italia, a Roma e nella Roma, allettato dai possibili introiti e dal progetto del nuovo stadio. Fedelmente accompagnato dal figlio Ryan, suo braccio destro, Friedkin, dopo aver rinnovato l’assetto dirigenziale – con l’addio del Vicepresidente Mauro Baldissoni, la aumentata centralità operativa del Ceo Guido Fienga e la promessa di un futuro reintegro in società di Francesco Totti – ha regalato ai tifosi, tra agosto e settembre, i primi colpi della sua gestione: lo svincolato Pedro Rodriguez (dal Chelsea), il rientrante Chris Smalling (riscattato dal Manchester United in extremis), il vice-Dzeko Borja Mayoral (dal Real Madrid).
Innesti di valore, ma forse ancora troppo poco per essere realmente competitivi in ottica Champions, complici anche le partenze di Cengiz Under (Leicester), Diego Perotti (Fenerbahce), Justin Kluivert (Lipsia), Patrik Schick (Bayer Leverkusen).
Grande con le piccole, piccola con le grandi
L’era Friedkin, sul campo, è però cominciata sotto i peggiori auspici: il 7 settembre, ad Amsterdam, Niccolò Zaniolo riportava la rottura del legamento crociato anteriore. Una dramma per il ragazzo, un brutto colpo per i tifosi, costretti – poche settimane dopo, nell’esordio stagionale contro il Verona – ad assistere ad un errore fantozziano della società. Un match avaro di emozioni, terminato 0-0, sul quale però il Giudice Sportivo decretava il 3-0 a tavolino per gli scaligeri, perché nella presentazione delle liste la Roma inseriva- tra gli Under 22 il mediano Amadou Diawara, che aveva però festeggiato il suo 23esimo il 17 luglio.
Archiviato il caso-Verona, costato il posto al segretario generale Pantaleo Longo, la Roma è riuscita – tra ottobre e novembre – ad inanellare una serie di 8 vittorie su 10 partite tra campionato ed Europa League, complice anche il cambio di modulo con il passaggio alla difesa a 3, prima della batosta di Napoli, un 4-0 senza storie nel segno di Diego Armando Maradona, scomparso solo tre giorni prima.
Il bilancio
Con la vittoria contro il Cagliari, la Roma chiude il 2020 con un terzo posto in campionato, che rappresenta un buon punto di partenza per il nuovo anno solare, in cui gli aspetti sui quali Fonseca dovrà lavorare – per ritrovare la Champions League – saranno essenzialmente due: la condizione atletica e la personalità.
Per il primo elemento, ben 15 reti delle 20 al passivo (oltre il 75% del totale) sono state subite dalla Roma nella ripresa, evidenza empirica di una preparazione atletica non eccelsa che conduce a vistosi cali fisici e di attenzione nei secondi tempi. E poi, la scarsa personalità mostrata dalla squadra negli scontri diretti con top team (come le sconfitte nelle trasferte a Bergamo, Napoli e il 2-2 che valeva una vittoria contro la Juventus) è un fattore imprescindibile per fare quel salto di qualità che tanto Fonseca quanto i Friedkin (sempre presenti in tribuna e dunque molto apprezzati dalla piazza) auspicano per un 2021 di successi giallorossi.