Serie A, il 2020 del Napoli: l’anno del reset
Anno nuovo, vita nuova. Mai detto fu più veritiero per il Napoli ed il suo 2020.
Su, su e sempre più su. Il Napoli di De Laurentiis è stato sempre un crescendo. Dal ritorno in Serie A con Edy Reja e la prima qualificazione nelle competizioni europee (il vecchio Intertoto) fino al Napoli di Mazzarri e la Champions League. Dall’internazionalizzazione con Rafa Benitez fino allo storico ed irripetibile Napoli di Maurizio Sarri e lo scudetto perso in albergo. Dopo Sarri, dopo il sarrismo, era difficile reinventarsi. Il compito era stato affidato al maestro per eccellenza, al top dei top degli allenatori nel mondo: Carlo Ancelotti. Il suo Napoli è durato la prima metà della stagione 2018/2019, dopodiché è rimasta soltanto qualche buona prestazione in Champions League e poco altro. Gli screzi tra la società ed i calciatori, il difficile rapporto con i “senatori” e le multe che ne sono conseguite hanno definitivamente rotto il giocattolo. Quel Napoli salito su, su e sempre più su, all’improvviso è caduto, di botto, di colpo. Via Carlo Ancelotti. Già, via Carlo Ancelotti, al suo secondo storico esonero in carriera. Arriva un suo pupillo, un suo allievo, Gennaro Gattuso, mentre Ancelotti va a fare grande l’Everton in Premier League.
La lenta rinascita
Tra il 10 e l’11 dicembre 2019, il Napoli esonera Carlo Ancelotti e riparte da Gennaro Gattuso. L’ex tecnico del Milan ha l’arduo compito di risanare il rapporto tra la società ed i calciatori e ricreare armonia in uno spogliatoio ormai a pezzi. Missione ardua. Il suo Napoli parte con tre sconfitte consecutive al San Paolo contro Parma, Inter e Fiorentina, intervallate da una vittoria in casa del Sassuolo al 94′, da una sconfitta in casa della Lazio e dalle vittorie in Coppa Italia tra le mura amiche contro Perugia e ancora Lazio. Difficile intravederlo allora, ma è l’inizio di una nuova era, l’era di una lenta rinascita.
Il Napoli di Gattuso riparte proprio dalle vittorie in Coppa Italia: il 2-0 al Perugia e l’1-0 alla Lazio, tutti portanti la firma di Lorenzo Insigne. Dal mercato invernale arrivano all’ombra del Vesuvio Demme e Lobotka, per rinforzare un centrocampo visibilmente in bisogno di uomini, e Matteo Politano dall’Inter. Da allora e prima della lunga pausa per il Covid, gli azzurri infilano 5 vittorie (tra cui quella contro la Juventus) ed una sconfitta in campionato, un’altra preziosa vittoria nella semifinale d’andata contro l’Inter a San Siro ed un prestigioso pareggio al San Paolo contro il Barcellona di Messi nell’andata degli ottavi di finale di Champions League.
Ripartenza col trofeo
La pausa permette a Gattuso di integrarsi ulteriormente con la piazza napoletana, seppur in smart-working. La definitiva integrazione tra Gattuso e Napoli avviene grazie alla Coppa Italia. Gli azzurri ripartono dalla semifinale di ritorno del trofeo nazionale: il 13 giugno al San Paolo, i partenopei pareggiano 1-1 contro l’Inter di Antonio Conte e si qualificano per la finale di Coppa Italia. Quest’ultima si gioca quattro giorni di dopo all’Olimpico di Roma e l’avversaria è la Juventus di Maurizio Sarri, quel Maurizio Sarri. Il Napoli è padrone della partita e lo 0-0 finale sta stretto agli azzurri. Niente tempi supplementari, si va direttamente ai calci di rigore in cui gli errori di Dybala e Danilo e i gol di Insigne, Politano, Maksimovic e Milik regalano la Coppa Italia a Gennaro Gattuso ed il suo Napoli. E’ il primo trofeo da allenatore per Ringhio, la sesta Coppa Italia per i partenopei.
Sull’onda dell’entusiasmo
La scia della vittoria della Coppa Italia trasforma il Napoli post-covid. Grazie alla vittoria del trofeo nazionale, la squadra di Gattuso si qualifica per la prossima Europa League che avrebbe conquistato anche attraverso il piazzamento in campionato: i 23 punti nelle ultime 12 partite permettono al Napoli di concludere al settimo posto. La lunghissima stagione 2019/2020, però, deve ancora suonare il gong finale: c’è la partita di ritorno in Champions League contro il Barcellona, il sogno. E sogno resta. Il Barcellona è troppo per un Napoli che si sta ricostruendo: 3-1 senza troppe storie con un Messi super. La stagione degli azzurri si chiude così in un Camp Nou vuoto.
Un nuovo Napoli
La stagione 2020/2021 segna l’inizio di un nuovo Napoli. Salutano gli azzurri Allan e, soprattutto, Josè Maria Callejon. Lo spagnolo, senatore del Napoli di Benitez, Sarri, Ancelotti e del primo Gattuso, saluta la piazza partenopea dopo sette lunghe stagioni. Si accaserà alla Fiorentina. A Napoli, invece, arrivano Petagna e Rrahmani (già acquistati a gennaio), Bakayoko in prestito dal Chelsea e, soprattutto, Victor Osimhen. Settanta milioni nelle casse del Lille per l’acquisto di gran lunga più oneroso nella storia del Napoli. Tasto reset pigiato, gli azzurri ripartono dall’attaccante nigeriano. Il suo acquisto segna uno storico passaggio dal sogno Sarri, e dalla sua scia, al nuovo Napoli. Si riparte da Osimhen e da un Lozano ritrovato. Il messicano, dopo una stagione difficile ai margini della squadra titolare, si riscopre il gioiello già ammirato al PSV e conquista a suon di gol e giocate un posto fisso nell’attacco azzurro. Si riparte da Osimhen, Lozano e Gattuso, alla prima vera stagione da allenatore partenopeo. Si riparte, ancora una volta, dai senatori: è rimasto Koulibaly, è rimasto Mertens, è rimasto, sempre più leader e capitano, Lorenzo Insigne. Le premesse sono buone e, al di là di qualche incidente di percorso, a Natale il Napoli si qualifica per i sedicesimi di finale di Europa League ed è in piena lotta per i primi quattro posti in campionato. In linea con gli obiettivi.
In linea con gli obiettivi, sì, eppure manca entusiasmo, eppure manca fiducia. Bastano due sconfitte per rimettere in discussione Gattuso ed il suo operato. E’ ancora troppo vicino il ricordo di Sarri e del suo Napoli. E’ ancora troppo fresca la ferita per lo scudetto sfiorato e poi perso. La verità è che al Napoli e, soprattutto, a Napoli serve tempo per metabolizzare un cambiamento in atto, una ripartenza, un nuovo inizio. Gli azzurri sono pronti a ricostruire sé stessi. Si apre un nuovo ciclo.
Il lutto
Il 2020 è anche l’anno della morte di Diego Armando Maradona. El Pibe de Oro lascia il mondo terreno il 25 novembre: per Napoli ed il Napoli è un dolore fortissimo. Cambia il nome dello stadio: da “Stadio San Paolo” a “Stadio Diego Armando Maradona”.
La morte del Dieci per eccellenza, del D10S dei tifosi napoletani e non solo, stringe Napoli e la sua tifoseria in un abbraccio collettivo e fa cerchio attorno alla squadra che, nel frattempo, si veste di albiceleste.
Ed è sempre dopo un dolore che la gioia sarà più grande. La morte di Maradona segna la linea di demarcazione tra il Napoli che fu e quello che sarà. Il 2020 è l’anno del reset. Il Napoli riparte da Gattuso.