La vera forza del calcio, o meglio, l’elemento trainante intrinseco, è il sedimentato. Il pallone giocato è solo una parte, il pallone giocato diventa residuo, esperienza, nostalgia. Ci sono momenti del calcio che porteremo per sempre con noi, e che per sempre porteranno noi con loro, perché eternamente collocabili nello spazio e nel tempo. Il Mondiale del 2006 a qualcuno ricorderà l’odore delle pizze mangiate con gli amici, ad altri il profumo dell’amore dell’epoca, altri ancora non accettano di aver solo potuto ascoltare la partita del secolo in una misera radiolina perché al lavoro. Attimi indimenticabili.
Come un vento caldo che soffia dal Sahara, arriva poi il Covid, e il calcio, prima costretto a fermarsi, non si arrende, riparte, sembra poter far a meno anche della sua anima (i tifosi), sembra restare in piedi ma è uno spaventapasseri, nulla più. La sua forza, il sedimentato, non è più profusa, si è trasformata in debolezza, e ci restituisce attimi dimenticabili, come Juve-Napoli. La Juve-Napoli, più brutta della storia, immagine nera del nostro sistema calcio, figlia di una confusione tutta italiana, specchio di vuoti normativi e querelle amministrative. Figlia dei soldi e delle “furbate”, dell’ipocrisia e della mancanza di buon senso.
Juve-Napoli, partita di cartello della terza giornata, non si sarebbe dovuta giocare. Ma sarebbe stato bello se non si fosse sceso in campo perché i giocatori di entrambe le squadre avessero detto che no, dopo il caso Genoa, la Lega e le società non potevano obbligarli a mettere a rischio la propria salute, a trattarli alla stregua di cavie. Nessun contratto può obbligarti a tanto. Invece oggi sappiamo che un Asl può obbligarti a non partire per protocollo, o che invece non può, o che solo un giudice, o un delegato, o un ministro, ci dirà ciò che è lecito o meno. Resta un precedente che mina il destino del campionato.
Anche perché un campionato, intanto, si è giocato. Lo ha aperto la Samp andando a vincere a Firenze. Impressiona quanto la Viola si depotenzi senza Ribery, e, soprattuto, quanto sia difensivamente tenera. Tenera quanto Amrabat messo solo alla difesa di una roccaforte che andava già a fuoco. Iachini l’ha fatta grossa, per essere nuovo, ha barattato quanto di buono ha sempre avuto: la compattezza. Manca terribilmente Pezzella, manca Pulgar, un numero 9, mancherà Chiesa. Commisso il “cash”, più che imparare a pronunciarlo, dovrà spenderlo. Alziamoci ancora il cappello alla vista di Ranieri. La mancanza di tifosi ci permette di immergerci in ciò che si dice a bordocampo. Sir Claudio ha letteralmente telecomandato i suoi, è un valore aggiunto.
Un valore aggiunto quanto Caputo. Due stagioni fa era una sorpresa, la scorsa diventava una dolce certezza, oggi, non ci mordiamo la lingua dicendo che vale Immobile. Il Sassuolo ha il suo uomo da 20/30 gol, non male per chi si dice da metà classifica. In realtà i neroverdi possono ambire a molto di più. Hanno vinto le ultime due con Spezia e Crotone, sospendiamo il giudizio ma nel frattempo ne costatiamo la gioia di vederli esprimere. Gli uomini di Stroppa ci hanno illuso nei frangenti iniziali della gara. Stavano mantenendo la partita, poi si sono sciolti come un ghiacciolo sul cruscotto. Alcuni errori non sono ammissibili in Serie A. Nota Defrel, non giocava così bene da cinque anni.
Non giocava così bene da tanto anche l’Udinese di Gotti. I friulani si sono resi protagonisti di un’ottima prova, Pereyra ha portato sin da subito ciò per cui è stato preso. De Paul è un inventore di gioco, Lasagna è vivo. Di fronte però c’è stato Mirante, un Ibanez in stato di grazia e una Roma che, anche senza dominare, è riuscita a trovare la vittoria. Se vi è sfuggito il gol di Pedro cercatevelo su YouTube.
È sfuggita, anche al Cagliari, l’Atalanta. Con i cinque rifilati ai sardi, ha segnato quattro gol nel primo tempo per la quarta volta dall’inizio del 2019, ed è la prima squadra dal Milan nel 1972/73 a realizzare almeno 13 reti nelle prime tre partite di una stagione di Serie A, l’ultima a riuscirci nei top-5 campionati europei fu il Real Madrid nel 1987/88. Potremmo non aggiungere altro, gli uomini di Gasperini fanno tutto ciò che vogliono, quando vogliono e come vogliono, la rete di Lammers è la fotografia perfetta del momento della Dea. I rossoblù sembravano di una categoria inferiore, nonostante ci sia stato qualche segnale positivo, tipo Godin.
Segnali positivi arrivano finalmente da Parma. Al Tardini, la gara tra padroni di casa e Verona, si apre e termina in 27 secondi, il tempo che ha Karamoh di mandare in gol Kurtic. Poi gli emiliani hanno gestito senza troppe sofferenze. Ci ha provato l’Hellas in tutti i modi, ma non ha avuto idee e, soprattutto, le solite energie necessarie per sovrastare in intensità l’avversario. Stupisce Liverani, per la caduta dell’integralismo. Il Parma vince con difesa e contropiede. Senza vergogna, non deve essercene.
C’è vendetta, però, per Pippo Inzaghi: Sinisa Mihajlovic lo ha scalzato due volte dalla panchina; il Bologna lo ha esonerato nel 2019. Vanno battuti entrambi e bisogna ringraziare Montipò: super!
In alcuni frangenti i tre punti per i padroni di casa sembravano impossibili, tante son state le occasioni create dai felsinei. Fatto sta che il Benevento si porta a sei punti in classifica, incredibile; e che il Bologna si trova ancora a recriminare per gli errori sotto porta e a difesa della propria porta: la squadra prende gol da 36 partite di fila.
Ha da recriminare anche Antonio Conte, che per inchinarsi alla bellezza deve portarsi le mani ai capelli per l’occasione perduta. L’Inter ha fallito la prima vera prova della stagione, è mancata di concretezza e maturità per ammazzare l’avversario. Un avversario che, se non altro, ha mostrato orgoglio, grande da coprire defezioni e sfortuna. Il grande errore dei nerazzurri è stato Perisic, ha pesato sul match. Cosi come la difesa: c’era in campo il terzetto titolare e una mediana muscolare, è arrivata comunque la sesta rete subìta in tre gare. Poco più che ordinata la Lazio. La sensazione, anche dalle parole di Inzaghi, è che ci si aspettasse di più dal mercato. La coperta è corta, e i biancocelesti sono molto più simili a quelli post-lockdown, che all’aquila rapace della prima parte di stagione scorsa.
Di certo si arriverà al derby di Milano, per la prima volta da anni, con il Milan a guardare i cugini dall’alto.
I rossoneri hanno fatto tre su tre, come l’Atalanta, come nel 1971/72 (con Nereo Rocco alla guida) e nel 1952/53 (con Mario Sperone). La cura Pioli non svanisce più. La gara con lo Spezia è inizialmente bloccata, perché le maglie dei neopromossi sono strettissime. Italiano l’aveva preparata bene. Poi è scattato qualcosa, si è aperto l’argine e non c’è più stato modo di chiuderlo, né di riparare. Ecco cos’è il Milan: un fiume in piena.