Sabatini: “L’Inter un grosso rimpianto, Inzaghi un rompic…. assurdo. Su Bastoni ho il mio merito”

Sabatini inter

(Photo by Gabriele Maltinti/Getty Images)

Walter Sabatini ha parlato della sua esperienza all’Inter, proprio nella vigilia del match fra la sua Salerntitana e proprio i nerazzurri. In un’intervista in esclusiva alla Gazzetta della Sport, il direttore sportivo ha parlato del suo passato, aggiungendo particolari importanti su alcune operazioni importanti della storia recente del club di Milano.

Sabatini, le parole sull’Inter e non solo

Sull’Inter: “Un sogno averla accarezzata. Ho sbagliato la porta d’ingresso, però. Ho accettato una richiesta interna di rimanere fuori dall’organigramma. Non avrei mai dovuto farlo. Non si va all’Inter da fantasma, all’Inter si grattano i gomiti a tavola e si fanno le cose con fermezza. È un rammarico profondo, non mi sono messo in condizione di fare il massimo: andando via da Roma, non c’era altra società che avrebbe potuto emozionarmi”.

Su Inzaghi: “Un rompicoglioni mai visto. Aveva una grande capacità di letture delle cose: le dettava agli altri, lui spesso non riusciva a metterle in pratica. Una radiolina accesa: mi venne il sospetto potesse diventare allenatore“.

Su Zhang: “Zhang padre? Non è un umano. È un semidio. Ricordo cene opulente nella sua residenza, io lui e Capello. Una volta io e Fabio eravamo a tavola con Lippi. Jindong scese dai piani alti per salutare Marcello, una divinità in terra. Nessuno lo vedeva mai, era un figura mitologica”.

Su Bastoni: “Su Bastoni ho molta responsabilità. Ho fortemente caldeggiato l’operazione“.

Su Dzeko: “È l’armonia in movimento nel calcio. Brava l’Inter a prenderlo”.

Sulla sfida della sua Salernitana: “Perché un gruppo di giocatori ora sta diventando una squadra. Siamo stati già ampiamente definiti come retrocessi. Lo siamo al 93%. Il 7% l’ho trattenuto io. Come feci in sala operatoria. Vi spiego: Mi stanno portando dentro, allo staff del chirurgo chiedo: “Quante possibilità ci sono che non sia un tumore maligno?”. Silenzio. Insisto. E i medici: “All’80% è maligno”. Rispondo: “Tenetevi il vostro 80%, io mi gioco il 20%, ci vediamo tra qualche ora”. Mi sveglio. E allora il chirurgo mi fa: “Aveva ragione lei, è benigno”.

Su Ribery: “Dopo aver visto la macchina gli ho detto solo “sono contento che non sei morto”. È un essere umano, straordinario, aiuta i compagni, partecipa con tenacia nonostante la sua storia”.

Sull’esperienza alla Roma: “Io devo ringraziare Baldini, fui lui a fare il mio nome alla proprietà americana della Roma. Quando Pallotta gli propose di fare il consulente, dissi a Franco “tu accetta pure, ma io me ne vado, perché nessun direttore sportivo potrebbe lavorare in questo modo”. Sono pieno di difetti, ma non ho mai corso il rischio di diventare patetico“.

Su Scamacca e Fratessi: “La fuga di Scamacca mi spiazzò, rimasi addolorato, ho fatto di tutto perché restasse. Gli avevo promesso di portarlo subito in prima squadra, l’avrei fatto. Frattesi? Lo convocai che era ancora negli Allievi. Gli dissi: “Se non arrivi a fare carriera in Serie A, vengo a cercarti, a picchiarti”. Ricky Massara mi faceva una testa così, per lui e per Antonucci. Frattesi è il prototipo del centrocampista moderno: se io fossi all’Inter, lo prenderei subito. Ma qui a Salerno ne ho uno simile: Ederson”.