Sull’arrivo di Mourinho alla Roma, ufficiale da ieri, ma ancora sulla carta, con quattro giornate di Serie A e una semifinale di ritorno di Europa League da giocare, si è già scritto molto, moltissimo. Senza voler dare l’ennesimo, ed in fin dei conti inutile, parere sulla scelta della prossima guida tecnica, la giornata di ieri consegna al calcio italiano una società decisamente più solida e matura. La scelta del portoghese, che presuppone un investimento importante, è un segnale forte a tutto il calcio italiano, ma soprattutto alla Roma. Intesa non tanto e non solo come società, ma come ambiente, con tutte le sue componenti. Che, da ieri, dovranno imparare a sostenere una proprietà nuova, evidentemente solida, ma soprattutto estranea alle dinamiche della Capitale.
Ed è proprio questo l’aspetto che ha sorpreso maggiormente: il saper lavorare sottotraccia, senza imbeccare la stampa, né nazionale, né locale. Un ermetismo inconsueto in generale, ancor più a Roma. Le trattative con Maurizio Sarri, o meglio con il suo agente, pare siano state interrotte da settimane, ma nessuno – o quasi – ha saputo fiutare l’aria. Allegri, come apparso chiaro da un po’, era solo un diversivo giornalistico. Mourinho, per tutti, un’ipotesi irrealizzabile. Eppure, alla fine costerà, al lordo, 45 milioni di euro da spalmare su tre bilanci. Sicuri che sia un’operazione così onerosa per un club come la Roma, che tanto per fare un esempio, ha pagato Javier Pastore 25 milioni di euro senza vederlo praticamente mai in campo? Poco da dire anche sulle modalità: lunedì i saluti a Fonseca, sulla porta ormai da mesi, martedì l’ufficialità. Una dinamica assolutamente normale in tutto il resto del mondo, come insegna il cambio di panchina del Bayern Monaco.
La sensazione è che i Friedkin, oltre ai soldi, stiano portando alla Roma un modo di lavorare diverso, nuovo, realista e concreto. E ovviamente ambizioso. Ma senza fare necessariamente i voli pindarici. La campagna acquisti della scorsa estate, fatta di trattative estenuanti e prestiti, era l’anno zero. E aver portato (o trattenuto), in una Roma senza Champions League, giocatori come Smalling, Veretout, Kumbulla, Mayoral, Mkhitaryan, non è stato un segnale da poco. Di certo, l’ossatura c’è ed è solida, anche perché, uno come Mourinho, non avrebbe firmato un triennale per guidare una squadra da costruire da zero. I piani, presumibilmente, sono ambiziosi, e sarà Tiago Pinto, l’artefice di questo accordo lampo (concretizzatosi nel volgere di due settimane, tra il 21 aprile e ieri), a dover trovare i pezzi giusti per la prima Roma targata Mou, tornato in Italia per tornare a vincere, cosa che non gli riesce da un po’.