Ritratti: Mané Garrincha
Il nostro primo ritratto racconta di Manoel Francisco dos Santos – conosciuto come Mané Garrincha -, attaccante brasiliano degli anni ’50 principalmente associato al Botafogo e alla Seleçao, con la quale vinse i Mondiali di Svezia ’58 e di Cile ’62.
Dalla personalità del tutto estranea alla seduzione della notorietà, si guadagnò il soprannome di Alegria do Povo, “gioia del popolo”, per le sue innate qualità straordinarie – tra le quali spiccava sicuramente il dribbling -.
È nato nel 1933 a Magé, nello Stato di Rio de Janeiro. È afflitto da vari difetti congeniti: un leggero strabismo, una deformazione alla spina dorsale, uno sbilanciamento del bacino, sei centimetri di dislivello tra le due gambe; in più le sue ginocchia sono affette una da valgismo e una da varismo, ossia formano un angolo aperto rispettivamente verso l’esterno e verso l’interno.
Il soprannome Garrincha gli è dato da una delle sue sorelle per via della somiglianza con l’omonima specie di uccelli che lui cacciava da bambino. Con il tempo l’accezione del soprannome è cambiata, riferendosi alla sua andatura in campo: le sue malformazioni fisiche rendevano la sua corsa simile all’incedere saltellante di un uccellino.
La sua carriera calcistica partì nel 1947 dal Pau Grande, squadra amatoriale della fabbrica tessile in cui lavorava in adolescenza. Nel giro di due anni si impose come miglior talento della regione: fu allora che lo notò un emissario del Cruzeiro do Sul, formazione del comune di Petrópolis, e lo portò nelle giovanili. Nel 1951 passò a un’altra squadra di Petrópolis, il Serrano, che fu la prima società a stipendiarlo per le sue prestazioni: gli venivano riconosciuti trenta cruzeiros a partita, all’epoca equivalenti a poco più di un dollaro e cinquanta.
Garrincha non volle comunque abbandonare il Pau Grande per via dell’amicizia con il Presidente della squadra; per questo si divideva tra le due formazioni, ma dopo tre mesi lasciò il Serrano preferendo giocare solo per il Pau Grande a titolo gratuito.
Un singolare episodio di questi anni mostra la popolarità acquisita da Garrincha: durante una partita fu ripetutamente insultato dagli avversari al termine di un brutto primo tempo; al rientro in campo dribblò l’intera squadra partendo dalla propria area di rigore e confezionò un assist per un compagno, che segnò. Alla ripartenza del gioco venne fermato con un fallo: l’autore non solo fu espulso, ma subì un tentativo di linciaggio dai suoi stessi tifosi, tanta era l’ammirazione per Garrincha anche al di fuori dei sostenitori del Pau Grande.
Nonostante il successo, Garrincha non si recò mai spontaneamente a provini per società professionistiche. Raggiunse il Botafogo in modo del tutto casuale: un ex giocatore della squadra venne chiamato ad arbitrare una partita del Pau Grande e fu colpito dal talento di Garrincha tanto da procurargli un provino, nel 1953.
La dinamica della selezione è particolare: fu schierato tra le riserve del Botafogo nella “partitella” contro i titolari; in quanto ala destra, il suo avversario era Nilton Santos, il celebre terzino sinistro della formazione titolare. Garrincha lo dribblò per due volte consecutive e gli fece passare il pallone tra le gambe. Nilton Santos dichiarò che quest’ultima giocata era solo una leggenda diffusa da un giornalista e da lui mai smentita per affetto verso Garrincha; ammise, tuttavia, di aver intercesso in prima persona con il tecnico e con la dirigenza per il tesseramento di Garrincha poiché temeva di poterlo incontrare da avversario in un gremito stadio Maracanã. Il passaggio costò al Botafogo cinquecento cruzeiros, equivalenti al tempo a ventisette dollari: è la cifra più bassa mai scritta su un contratto professionistico di calcio.
I primi anni botafoghensi furono positivi a livello individuale per Garrincha, ma privi di titoli fino al 1957, quando il Botafogo vinse il campionato carioca per la decima volta nella sua storia: è questo il primo trofeo di Garrincha da calciatore professionista.
In questo periodo Garrincha si rese protagonista di alcuni episodi “pionieristici”.
Il tecnico João Saldanha narra che il grido Olé nei campi di calcio comparve per la prima volta nel 1958 durante la partita tra Botafogo e River Plate, per accompagnare i numerosi dribbling di Garrincha a scapito del terzino avversario Vairo.
Nel 1960, invece, si vide per la prima volta una situazione di fair play: durante una partita contro il Fluminense il difensore Pinheiro cadde a terra per uno stiramento muscolare; Garrincha non approfittò dello spazio creatosi, ma mise il pallone fuori dal campo per consentire l’ingresso dei soccorsi.
A questo periodo risale la prima comparsa di Garrincha con la Seleçao, nel 1955 in occasione della prima edizione del Trofeo O’Higgins, una competizione tra le nazionali brasiliana e cilena che si svolse fino al 1966. La convocazione di Garrincha in verdeoro si deve a una particolare contingenza: Julinho, ala destra della Fiorentina, rifiutò di far parte della spedizione nazionale per non sottrarre il posto a un calciatore militante in patria poiché, al tempo, la Confederazione sportiva brasiliana adottava la prassi di reclutare solo giocatori provenienti dai campionati nazionali.
Si arriva così ai Mondiali di Svezia ’58. Garrincha, al pari di Pelé, fu escluso dalle prime due gare. Venne impiegato nella terza partita, contro l’Unione Sovietica: in soli tre minuti colpì una traversa, impegnò il portiere avversario in una parata difficile e realizzò un assist per la rete di Vavá. Il giornalista francese Gabriel Harnot li definì “i tre minuti più sublimi della storia del calcio”. Nel turno successivo il Brasile eliminò il Galles, il cui terzino sinistro, Mel Hopkins, disse di Garrincha:
Credo che fosse più pericoloso di Pelé a quel tempo. Era un fenomeno, capace di pura magia.
In semifinale il Brasile superò la Francia e trovò in finale la Svezia, nazione ospitante. Garrincha fu ancora autore di due assist per Vavá: 5-2 per i verdeoro e la Seleçao sollevò la sua prima Coppa del Mondo.
Negli anni ’60 cominciarono per Garrincha dei problemi fisici a carico delle ginocchia, tanto che il medico sociale del Botafogo lo esortò a sottoporsi a un intervento chirurgico che, tuttavia, il calciatore non volle mai subire preferendo ricorrere negli anni seguenti a infiltrazioni.
Nel 1962, comunque, fu di nuovo convocato dalla nazionale per i Mondiali. Cile ’62 è ricordato come il Mondiale di Garrincha, il quale si distinse come capocannoniere e come miglior giocatore della competizione. L’infortunio di Pelé nella seconda partita, inoltre, lo rese protagonista indiscusso e traino della squadra.
Un episodio degno di menzione è quello che permise a Garrincha di disputare la finale. Nella semifinale contro i padroni di casa del Cile fu espulso per un fallo su Rojas; il governo brasiliano esercitò pressioni per la revoca della squalifica e il Presidente della Confederazione sportiva brasiliana convinse uno dei guardalinee, unico testimone dell’episodio, a lasciare il Paese prima del giudizio: senza poter accertare i fatti, Garrincha fu assolto e poté così prendere parte alla finale contro la Cecoslovacchia, vinta per 3-1. Fu la seconda Coppa del Mondo per il Brasile.
Nel 1963 i problemi fisici si aggravarono, ma Garrincha fu obbligato dal Botafogo a partecipare alla consueta tournée di amichevoli internazionali, nonostante il parere contrario del medico, perché altrimenti la squadra avrebbe ricevuto un compenso inferiore. A irrigidire ulteriormente i rapporti con la società si unirono le richieste di adeguamento salariale del giocatore, la sua scandalosa relazione con una cantante per la quale abbandonò moglie e figlie e l’abuso di alcolici.
L’anno successivo il suo contratto prevedeva una retribuzione in base al numero di partite giocate e per questo Garrincha si decise a operarsi. Scelse, però, il medico dell’América: convinto che la soluzione fosse l’asportazione dei menischi, decretò l’inizio del suo declino. Il Botafogo multò Garrincha per essersi rivolto al medico di un’altra società, trattenendo il sessanta per cento del suo compenso. Trascorse gran parte dell’anno a fare fisioterapia e a fine stagione le gare disputate furono solamente ventitré.
Dopo il Botafogo, da cui si separò nel 1966, Garrincha continuò a giocare per diversi anni in Sud America e in Europa, bisognoso di soldi per l’alcol e per la famiglia. Passò al Corinthians, con il quale restò un solo anno prima di essere girato in prestito al Vasco da Gama, con cui disputò una sola partita – un’amichevole – ma non convinse i dirigenti a tesserarlo. Nel 1968 si unì all’Atlético Junior ma risolse il contratto dopo una sola settimana dalla firma; nello stesso anno militò nel Flamengo, ma veniva schierato solamente nelle amichevoli per richiamare pubblico.
Il 13 aprile dell’anno successivo Garrincha era in viaggio con la mamma di Elza Soares, la cantante con cui aveva una relazione ormai da otto anni. L’auto da lui guidata urtò un camion, si cappottò tre volte e la donna perse la vita. Garrincha, che negò il proprio stato di ebbrezza alla guida, fu condannato a due anni di prigione, ma finì con la sospensione condizionale della pena in quanto era il suo primo reato. Sentendosi colpevole entrò in una profonda depressione e tentò il suicidio inalando del gas.
Le crisi depressive portarono la coppia a trasferirsi a Roma, dove Garrincha si allenò con la Lazio e giocò alcune partite con squadre amatoriali universitarie e dopolavoristiche in cambio di piccoli compensi. Passò anche per il Sacrofano, squadra di provincia allenata dal suo ex compagno al Botafogo Dino Da Costa: dalla Coppa del Mondo alla terra dei campi dilettantistici laziali.
Nel 1972 tornò in Brasile e fu messo sotto contratto dall’Olaria, squadra con cui concluse la sua carriera.
Nel 1977 in stato di ubriachezza aggredì la sua consorte, Elza Soares, decretando la fine del loro rapporto. Nemmeno quando accettò di insegnare calcio ai bambini poveri per la LBA (Legião da Boa Vontade) smise di bere.
Morì il 20 gennaio 1983, all’età di quarantanove anni, nell’ennesima clinica, lasciando quattordici figli sparsi per il mondo.
Qui riposa in pace colui che fu la Gioia del popolo, Mané Garrincha.
Questo è l’epitaffio sul sepolcro che contiene le sue spoglie, nel cimitero di Raiz da Serra, presso Magé.