Real e Barcellona, crisi tra ragione e sentimento

Real e Barcellona, crisi tra ragione e sentimento

(Photo by LLUIS GENE/AFP via Getty Images)

La caduta di Cadice riporta in primo piano la crisi del Barcellona, già alla quarta sconfitta stagionale, e a 12 punti dall’Atletico Madrid capolista. Un gap difficilissimo da ricucire, sempre che qualcuno creda davvero che la squadra di Koeman abbia una qualche chance di rientrare in corsa per la Liga. La situazione, ormai, è critica, e decisamente poco sorprendente. L’estate è stata tumultuosa, la bomba Messi, esplosa quasi dal nulla, ha sconquassato un ambiente ed una squadra a fine ciclo. Sia a livello societario, con Bartomeu da tempo sulla graticola, sia in campo, dove la rivoluzione necessaria non è ancora iniziata.

Il risultato, è una prima parte di campionato deficitaria, in cui un Messi ancora frastornato è meno leader che mai in campo. E il talento, questa volta, non basta a sopperire allo scollamento di una rosa che non regge, oggettivamente, il paragone con il recente passato. Piqué, che va verso i 34 anni, ha bisogno di un compagno di reparto affidabile. Dest, ancora acerbo, sin qui è la vera sorpresa di queste prime giornate, mentre Griezmann meriterebbe un capitolo – o un pamphlet – a sé. Dembelé e Coutinho fanno dell’incostanza la loro cifra stilistica.

Certo, in un contesto diverso, le cose forse andrebbero in maniera differente. Ma la realtà è quella di una società che in estate ha dovuto rinunciare all’esperienza di Vidal e Suarez per motivi di bilancio, e che ha trattenuto Messi più per principio che per altro. Andando poi sul mercato senza una vera bussola e senza un progetto articolato alle spalle.

La pandemia ha aperto una voragine nei conti del Barcellona, e le difficoltà in campo non sono che lo specchio di quelle economiche. Parafrasando il presidente ad interim Carles Tusquets, senza addentrarci nei meandri del bilancio, vendere Messi sarebbe stata una scelta saggia. Al contempo, parlare di Neymar o di Lautaro Martinez, ad oggi è puro esercizio di stile. La rivoluzione tecnica dovrà essere economicamente sostenibile, ma qualsiasi discorso va rimandato al post elezioni. Fino ad allora, ci sarà da resistere, e magari provare ad invertire la rotta. Sempre con Koeman in panchina, perché alternative non ce ne sono. E con Messi, almeno fino a giugno.

Dopo di che, si vedrà, ma attenzione a non buttare via il bambino (la squadra) con l’acqua sporca (una dirigenza inadeguata). Da salvare c’è molto, dai giovani canterani Ansu Fati e Riqui Puig a Frenkie de Jong e Marc-André ter Stegen, passando per Pjanic, ancora fuori dagli schemi di Koeman. E lo dimostra il ruolino di marcia in Champions League, dove i blaugrana viaggiano a vele spiegate, con cinque vittorie in altrettante partite. Nulla a che vedere con l’andamento in Liga, dove le pressioni diventano, improvvisamente, e giornata dopo giornata, sempre più insostenibili. Un po’ come, invertendo i fattori, sta succedendo al Real Madrid.

Nella capitale, infatti, la situazione non è troppo diversa. Zidane, se non avesse vinto contro il Siviglia, peraltro per il rotto della cuffia, difficilmente si sarebbe salvato. In 20 punti in Liga, del resto, non devono illudere, perché Atletico e Barcellona hanno una gara in meno, e allora sia il margine sui catalani che la distanza dai Colchoneros, potrebbe rivelarsi improvvisamente diversa. E in Champions i risultati sono indecifrabili. Il Real ha battuto per due volte l’Inter, perdendo entrambe le partite contro lo Shakhtar, pareggiando la prima con il Gladbach. Il passaggio del girone è molto probabile, ma più per demeriti altrui che per meriti propri.

Cosa distingue i blancos dai blaugrana? La stabilità societaria. Le difficoltà economiche ci sono anche nella Capitale, e la struttura sociale delle due, che poggia sull’azionariato popolare e la partecipazione dei tifosi alle decisioni più importanti, è simile. La differenza la fa Florentino Pèrez, un presidente forte, capace due estati fa di salutare senza grossi rimpianti il giocatore simbolo della squadra, Cristiano Ronaldo, con un bel risparmio per i conti. E di chiudere, senza battere ciglio, a qualsiasi acquisto nella finestra estiva del calciomercato. Certo, la rosa avrebbe avuto bisogno di qualche puntello, ma se il rientrante Martin Ødegaard è quello delle ultime settimane, e se Eden Hazard si ricorda di che pasta è fatto, le cose potrebbero mettersi bene anche in Europa.

Real Madrid e Barcellona, in definitiva, sono due facce nemmeno troppo dissimili di una stessa medaglia. Quella dei due club più titolati della Liga, che la pandemia ha messo in ginocchio, ma che hanno reagito in maniera diversa. In Castiglia, i Blancos sembrano consci del momento, e pronti a rialzarsi partendo da qualche certezza in più. In Catalogna, invece, c’è bisogno di mettere il club davanti ai singoli, salutare Messi con affetto, e non solo lui, e ricostruire dalle fondamenta una squadra che, da un anno e più, ha perso la bussola. Mettere, sostanzialmente, da parte il sentimento, in favore della ragione. Come ha fatto il Real con Cristiano Ronaldo.