Quando il primo ostacolo è il proprio nome. Il giovane Santapaola

Cosenza

(Photo by Jonathan Moscrop/Sportimage)

Quante volte si dice: “Nella società moderna l’immagine è tutto”. Sì, l’immagine ma anche il nome non scherza. Nel mondo del calcio questo accade quando il cognome è di quelli che balza all’occhio. Ma i risvolti possono essere differenti. Chiaro che se sei il figlio di Messi, Maldini, Ronaldo, Zidane ecc. l’aura che si crea è quella di fiducia, speranza. Sarà che l’Italia ha imparato a convivere da tempo con il nepotismo, un mantra quasi intoccabile del Bel Paese, dove la provenienza assume una rilevanza non di poco conto. Una visione impossibile da eradicare che si insinua in frasi tradizionali come: “Ma sei mica il figlio di…?” In base alla risposta la prima impressione può essere buona. Occhio però. Se il nome non è di quelli convenzionalmente accettati, quella domanda può aprirti le porte di un labirinto colmo di pregiudizi. È il caso del giovane Pietro Santapaola e del Cosenza Calcio.

Eredità pesante

Si riassume. Pietro Santapaola è un giovane classe 2003 nato a Messina. Centrocampista ordinato ‘alla Locatelli’, che spesso e volentieri si affida all’estro per proporsi anche in mansioni più offensive sulla trequarti. Il 17enne era stato scelto dal Cosenza in Serie B per la squadra Primavera, dopo svariate apparizioni in Serie D con il Messina. Il normale percorso di un giovane promettente che cresce nel mondo del pallone fino a quando, a marzo, tramite WhatsApp, un dipendente del club calabrese lo informa che le strade potrebbero presto dividersi. Comportamenti sbagliati? Valutazioni tecniche? Niente di tutto ciò. Santapaola è un cognome un po ‘ingombrante’ a detta dei vertici del club. Già, perché Pietro Santapaola è il pronipote del tristemente noto Benedetto Santapaola detto ‘Nitto’, uno dei boss di Cosa Nostra condannato all’ergastolo al Maxiprocesso – tra gli altri capi d’accusa – per essere stato uno dei mandanti dell’omicidio del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Il padre del calciatore è anch’egli coinvolto in alcune operazioni di polizia. Tuttavia, nessun tipo di coinvolgimento per Pietro che, nella sua testa, ha spazio solo per i sogni di un 17enne che corre dietro ad un pallone. La Serie A, la Champions League, il Pallone d’Oro… Il giocatore viene escluso dalla squadra e, immediatamente, l’avvocato Salvatore Silvestro denuncia il fatto alle istituzioni. Prima ai carabinieri di Messina, fino alla FIGC, passando per la Lega Serie B e per la Procura di Cosenza.

Tutto è bene quel che finisce bene

Oggi la buona novella. Il giovane giocatore della Primavera del Cosenza, che era stato messo fuori squadra e costretto a lasciare il convitto dove risiedeva, ha ricevuto una mail con la quale viene invitato a riprendere gli allenamenti appena sarà possibile a causa della quarantena per un caso Covid. È ancora presto per cantar vittoria perché, il legale Silvestro, sottolinea che ancora non sia stata apposta nessuna firma ‘ufficiale’ sul reintegro. Sicuramente però si tratta di un passo decisivo che, auspicabilmente, porterà documentazioni certe nei prossimi giorni. Un lieto fine che, ancora una volta, ha molto da insegnare e far riflettere. Riflettere e sperare che un giorno le persone possano essere giudicate per quello che sono e, soprattutto, che è inutile addossare ad un giovane gli errori di altri, parenti o altro. Anzi, che si impari a dare nuovi sentieri percorribili, proprio perché non incappino in quelli sbagliati. Un nome, o un cognome, non potranno mai essere anteposti a ciò che vi è nell’uomo, ancor più nel giovane uomo.