Qatar 2022, il Mondiale dell’oblio azzurro: quanto fa male il rimpianto Italia
La colpa è di quel sorrisetto che Didier Deschamps mostra con una fierezza eccessiva per chiunque, ma se pensate che basti questo per sperare che la Francia cada nell’ultimo atto del Mondiale, c’è qualcosa che non torna. Se (quasi) tutti in Italia – da tifosi – sostengono l’Argentina il motivo è storico: se Deschamps vince equipara il record di Pozzo. Quello dei due Mondiali vinti, di fila. Un pizzico di azzurro ancora c’è e non smette di affiorare: Mancini l’ha detto chiaro, “i rimpianti ci saranno anche dopo Natale”.
Poco, ma sicuro perché l’italiano si è scoperto vicino ai diritti umani e alle questioni – sacrosante – del rispetto delle libertà che latita in Medio Oriente solo perché, in realtà, non può più tifare Italia. E allora parla di altro, sicuramente più importante, ma questo non cancella una sola incontrovertibile domanda: poteva esserci spazio per gli azzurri al Mondiale? La risposta, inevitabilmente, è sì. Lo spettacolo visto in Qatar dimostra che il tasso tecnico mostrato – alieni a parte, in primis Messi e Mbappè – non sia stato così irresistibile.
Qatar 2022, l’azzurro sfuma: un Mondiale fra soprusi e rimpianti
Chi in Italia, dopo la sconfitta con la Macedonia, parlava di disfatta può essere un minimo consapevole che gli uomini di Mancini non sono l’unica compagine allo sbando. Ma forse, così facendo, la situazione peggiora: se continuiamo a guardare gli altri (diversamente non possiamo fare) e matura l’idea che non siano stati brillanti – bensì abbiano avuto prestazioni normali salvo qualche meravigliosa eccezione – cresce anche la frustrazione. Soprattutto se ripensiamo alle uscite di Germania, Belgio, Spagna e Portogallo.
Giganti sciolti come neve al sole. Allora, magari, un po’ d’azzurro ci sarebbe stato bene. Non appena vedi lo svizzero Sommer prendere 6 gol in una sola volta, pensi che Donnarumma avrebbe tranquillamente potuto dire la sua. Idem se si pensa a un Cristiano Ronaldo che con il Portogallo si riscopre normale, anziché fenomeno, viene naturale chiamare in causa un irrefrenabile Insigne. Quello dell’Europeo, devastante e tempestivo, con il tiro a giro che entrava quando doveva e niente sembrava fermarlo.
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Oppure la mente viaggia e arriva direttamente in Brasile, uscito improvvisamente quando ha scelto di giocare sul velluto. Tante le controversie di questo Mondiale sul piano etico, morale e civile. Anche quello tecnico e tattico, però, non scherza. Perchè, con un pizzico di caparbietà in più, gli italiani non avrebbero passato un’edizione sul trespolo ma da possibili protagonisti. Con la coccarda da Campioni d’Europa. E invece hanno trascorso un Mondiale a fare come quelli che fanno finta di odiare Sanremo: lo denigrano, pensando ci sia di meglio, ma poi un occhio ce lo mettono sempre. Ora tocca guardare Messi e Mbappè, perché Sanremo è Sanremo, ma il Qatar – al netto delle contraddizioni e senza giustificare le scelleratezze – resta il Qatar e l’Italia doveva almeno crederci un po’ di più.