Nella grande sfida di ieri sera in Champions League, il Milan ha subito una pesante sconfitta per 3-0 contro il Paris Saint-Germain. Un KO prevedibile per le forze in campo, ma i rossoneri si sono spenti alla prima difficoltà e non hanno saputo reagire.
Oggi staremmo parlando di una quasi impresa se il Milan fosse riuscito a vincere (o anche a pareggiare) contro il Paris Saint-Germain. Invece i pronostici non sono stati ribaltati e la squadra francese ha annichilito il Milan con un netto 3-0 nella terza giornata della fase a gironi del Gruppo F di Champions League.
Una sconfitta pesante e che ora complica di molto la missione ottavi di finale per il Milan. Attualmente i rossoneri sono ultimi nel girone a soli 2 punti dopo 3 giornate e paradossalmente la miglior notizia della serata di ieri è stata la vittoria del Borussia Dortmund contro il Newcastle, un risulato che tiene ancora in corsa la squadra di Pioli.
Servirà svoltare per forza di cose, provare una seconda parte di fase a gironi perfetta per andarsi a prendere la qualificazione. Tra poco meno di due settimane il PSG verrà a San Siro, sperando che tra 12 giorni qualche cosa sarà cambiata.
Ma intanto restiamo a ieri e alla prestazione vista al Parco dei Principi. Il Milan si è presentato di fronte al PSG con il miglior 11 schierabile al netto delle assenze (alcune pesanti come quella di Loftus-Cheek a centrocampo) e che hanno tolto soprattutto alla panchina alternative importanti con il forfait all’ultimo di Okafor e l’infortunio durante il riscaldamento di Jovic.
L’approccio iniziale è stato più che buono, con il Milan che ha provato ad aggredire con intensità e in zona alta i portatori di palla del PSG pur rimanendo compatto e attento alla straripante velocità degli uomini di Luis Enrique in avanti.
Il Milan come si suol dire ha retto l’urto finché ha potuto, ma anche in quel lasso di tempo i rossoneri hanno ancora confermato una scarsa efficacia in attacco in Europa. Il centrocampo ha faticato molto ad accompagnare, Pulisic non è stato incisivo e Giroud si è trovato a battagliare da solo contro due bestie fisiche come Skriniar e Marquinhos.
Presto detto che lo sfogo offensivo principale del Milan è sempre passato sull’out sinistro grazie a Leao, unico giocatore capace di svoltare e creare pericolo da solo palla al piede. Il campione portoghese ci ha messo del suo, è quello che ci ha provato di più verso la porta di Donnarumma e creato più ansia alla retroguardia del PSG.
Ma la Champions non è la Serie A e non sempre lo schema (efficacissmo e letale nel campionato italiano) di affidarsi quasi totalmente al talento del numero 10 lusitano può bastare.
Anche perché in Europa e soprattutto i top club come il PSG hanno anche loro i fenomeni e nello specifico dei francesi hanno il numero uno. Al primo vero errore in marcatura su Mbappé il Milan crolla. Pezzo di talento del fenomeno transapino che fa ubriacare Tomori e fulmina il connazionale Maignan con il classico destro rasoterra piazzato.
Da lì la partita cambia. Il Milan si spegne e il PSG fa una partita di gestione e senza forzare, ma approfittando delle amnesie difensive dei rossoneri che prima concedono una prateria a Dembélé (gol annullato per un fallo ad inizio azione di Ugarte) e poi capitombolano ancora con il tap-in di Kolo Muani e il gol finale di Lee-Kang in.
Il crollo del reparto difensivo (che ieri sera ha visto il rientrante Kalulu da titolare al posto di Calabria) è il principale campanello d’allarme della partita di ieri a Parigi. Nelle precedenti due sfide Champions, il Milan era riuscito a tenere la porta chiusa e sostanzialmente rischiato anche abbastanza poco contro Newcastle e Borussia Dortmund.
Certo il livello del Paris Saint-Germain è più alto ma l’ingenuità difensiva e la poca attenzione mostrata possono far preoccupare, in una partita in cui oltre che bravura offensiva serviva una prestazione di copertura di alto livello.
Non un buon momento per i rossoneri e nemmeno per il tecnico Stefano Pioli. L’avversario era superiore, ma l’allenatore (che ieri ha festeggiato la panchina 200) deve forse trovare soluzioni alternative dall’affidare la totale responsabilità del gioco della squadra al suo campione di riferimento. Anche perché come detto in Europa non può bastare.