Piero Angela, la scienza nel calcio: l’amore per la Juventus e il “Derby del cuore” con suo figlio
Piero Angela, capelli argentei, eleganza e consapevolezza. Persino al momento del trapasso: una lucidità che ha conservato da divulgatore qual era e ha saputo essere. La consapevolezza di capire che aveva fatto – e bene – la propria parte per l’Italia ma soprattutto per sé stesso. Nell’ultimo saluto agli estimatori parla delle “cose che ha imparato e ha restituito”. Potrebbe parlare di sé, alla fine si tratta di un commiato, ma volge l’attenzione agli altri: un atto d’amore – l’ennesimo – che racchiude un’epoca lunghissima in cui è stato protagonista anche e soprattutto con la sua gentilezza.
Senza quest’ultima non potrebbe esserci cultura: senza umiltà non c’è sapere. Ce lo insegna Socrate e Angela continua su quelle orme. Concetti di altruismo e capacità che arrivano e sono alla base (anche) del calcio spettacolo. Il giornalista e conduttore, pur avendo confidenza con storia e scienze, non ha mai disdegnato lo sport: era un grande tifoso della Juventus. Grande non solo per questioni anagrafiche e d’intelletto, ma perchè ha saputo rimettere al centro del dibattito sportivo la compostezza lasciando dietro l’acredine.
Piero Angela e la Juve: un legame atavico
“Per me è facile essere della Juventus – diceva – essendo nato a Torino. Devo ammettere però che essere tifosi granata è più nobile: i bianconeri vincono un anno sì e l’altro pure”. Ironia, classe ed educazione che tornano sempre. Persino al centro del rettangolo verde. Un’altra ammissione da parte di Angela: “Stimo molto Buffon – aveva detto – è un grande professionista e un uomo talentoso. Poi ha saputo anche piangere nei momenti difficili, rialzandosi dopo le sconfitte. Questo mi ha commosso molto”.
Le stesse lacrime che oggi i tifosi juventini (e non solo) versano per ricordare e onorare uno dei maggiori intellettuali del nostro tempo. “Tifo per la Juve – sottolinea – ma sono anche molto obiettivo. Quando gioca male lo ammetto. Poi c’è una sorta di “Derby” con mio figlio Alberto, milanista da sempre”. La cultura non ha offuscato le passioni di Piero: calcio e jazz. Persino un disco inciso, solo pianoforte.
Un pizzico di Roma: l’amicizia con Gratton
Il resto lo lasciava per la domenica: nella sua passione calcistica c’è anche un pezzetto di Roma. Il merito è di Gratton: “La nostra è un’amicizia di lunga data – ha sottolineato a Roma TV in occasione della morte dell’uomo – ci siamo incontrati per la prima volta nel ’55. Feci un documentario sulla battaglia di Waterloo e venni nella Capitale per montarlo: c’era lui a dirigere il reparto grafico. Era un bravissimo creativo. Insieme facemmo anche una serie di documentari scientifici, con una striscia dal nome “Destinazione uomo”, che spaziavano dalla ricerca scientifica a quella biologica con particolare attenzione a quella neurologica. Vivemmo a stretto contatto per un anno – era il 1970 – poi cominciammo anche ad andare in vacanza insieme con le famiglie”.
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Piero Angela ha riportato al centro del dibattito sportivo la curiosità e la voglia di indagare oltre i soliti sentieri, cercando qualcosa di diverso che restasse nel cuore degli appassionati. Il calcio non era materia d’esame quotidiano, ma motivo d’indagine. Quindi degno d’esser approfondito e vissuto, come ha fatto in ogni istante della sua vita. Lasciando dietro di sé soltanto la sua fama, come traccia per chi dovrà fare i conti con un futuro un po’ più triste e meno ricco di particolari. Anche se c’è chi proverà – compreso il figlio – ancora a raccontarli così.