Ricominciare a fluire.
E’ la speranza di un giovane croato, nato a Zagabria venticinque anni fa, a pochi mesi dal cessate le ostilità della Guerra di Indipendenza.
Marko Pjaca, oggi, si trova di fronte al primo grande bivio della sua seppur breve carriera.
Deve comprendere cosa vorrà fare da grande, quale posto gli avranno riservato gli dei del Calcio nel grande banchetto ricomprendente i fenomeni, gli ottimi giocatori e gli onesti mestieranti.
Edmondo Berselli, in passato, ha immortalato un’immagine nitida che può essere agile metafora per descrivere il percorso professionale di ognuno di noi:
“C’è un momento stregato in cui si passa dalla categoria di “brillante promessa” a quella di “solito stronzo”. Soltanto a pochi fortunati l’età concede poi di accedere alla dignità di ‘venerato maestro’”.
Marko è nel guado
Cerca la spinta per dare un’inversione di marcia netta alle sfortune che lo hanno ripetutamente colpito negli ultimi tre anni e mezzo, preoccupato, allo stesso tempo, di toccare nuovamente il fondo, questa volta definitivamente.
Riparte da Genova, sponda rossoblu, legando il suo destino a quello della squadra, anch’essa vogliosa di riemergere dai bassifondi in cui è stata relegata nelle ultime stagioni.
Ciononostante, l’inizio della carriera del croato lasciava presagire ben altro.
A Marko non manca nulla
Ottime doti tecniche, fisico possente, in grado di calciare con entrambi i piedi, eclettico.
Ala pura che non disdegna, all’occorrenza, di agire come trequartista o seconda punta. Rapido nonostante le lunghe leve, ritratto del centrocampista moderno.
Esordisce, neanche maggiorenne, in patria con la Lokomotiva Zagreb.
Pjaca si fa subito notare, attirando le attenzioni dei cugini nobili di Zagabria, la Dinamo, vetrina europea di primissimo livello per i giovani croati di talento.
Si spalancano anche le porte della Nazionale per il diciannovenne, cosa si può desiderare di meglio dalla vita?
Due ottime stagioni condite da tre reti in Europa League e quattro nei preliminari di Champions.
Il nome del croato inizia a circolare vertiginosamente sui taccuini degli osservatori dei principali club europei.
Come spesso accaduto negli ultimi anni è la Juventus a battere sul tempo la concorrenza, aggiudicandosi le prestazioni dell’astro nascente del calcio a scacchi biancorossi.
Tuttavia, Marko ha un debito di riconoscenza da saldare con chi gli ha permesso di sognare ad occhi aperti.
Il 20 luglio 2016 Pjaca si congeda da eroe con il pubblico di Zagabria, doppietta e assist nella vittoria ai preliminari di Champions League contro i macedoni del Vardar Skopje.
Standing ovation finale. La carriera del croato è in rampa di lancio. Si aspetta la definitiva consacrazione.
Non un particolare di poco conto, data la giovane età.
L’impatto con il mondo bianconero è comodo, protetto da Allegri e dalla dirigenza juventina che sanno centellinarlo per farlo ambientare ad una nuova tipologia di calcio, di pressioni ambientali, di obiettivi.
Marko scalpita e il suo momento non tarda ad arrivare.
E’ protagonista della vittoria negli ottavi di andata in Champions League contro il Porto, iscrivendosi al tabellino del match realizzando la rete dell’1-0.
Il dado è tratto. Marko dimostra di non essere un bluff.
Nessuno, però, ha fatto i conti con la variabile più pericolosa nella vita di un calciatore. La malasorte.
Nel marzo 2017 Marko viene convocato in nazionale maggiore per l’inutile amichevole contro l’Estonia.
A Tallin la temperatura è rigida, gli estoni passeggiano sui croati, 3-0 senza appello.
La sentenza più severa è per Pjaca, rottura del legamento crociato del ginocchio destro. Mani sul volto per Marko che si contorce dal dolore.
Il responso di Boris Nemec, responsabile dello staff sanitario della Nazionale, è impietoso: “solo il 55% dei giocatori che subiscono questo tipo di infortunio torna come prima.”
Una ghigliottina inaspettata
Il croato procede con la lunga riabilitazione ma qualcosa nella sua mente si è rotto.
La Juventus prova a recuperare l’enorme talento interrotto mandandolo in prestito allo Schalke 04. Esperienza incolore. 7 presenze ed un gol.
Il modo di calcare il campo di Pjaca è, inevitabilmente, segnato dal ricordo lancinante del brutto infortunio.
Il morale è a terra. Marko ha bisogno di tempo. Quel tempo bruciato da ragazzino in Croazia presenta il conto anni dopo, con degli interessi salatissimi.
La Torino bianconera, per tradizione, non è una piazza che può attendere oltremodo.
La dirigenza di Vinovo, comincia a nutrire qualche dubbio sulla tenuta mentale più che su quella fisica del ragazzo di Zagabria.
Marko viene dirottato in prestito con diritto di riscatto alla Fiorentina.
Pioli inserisce velocemente Pjaca nel suo scacchiere ed i risultati sono quelli sperati. Le prestazioni crescono di livello ed anche il ragazzo ritrova la serenità perduta un anno e mezzo prima in Estonia.
L’episodio della rottura del crociato è da chiudere nel cassetto degli incubi, Marko è pronto a spiccare nuovamente il volo?
Nient’affatto. Un banale scontro in allenamento porta in dote la rottura del legamento crociato dell’altro ginocchio.
Un KO tecnico per il morale ballerino del croato. E quella maledetta frase , quasi profetica, del medico della nazionale a risuonare nelle orecchie.
Pjaca diventa un peso per la Juventus che prova disperatamente a salvare l’investimento economico del 2016.
Terminata la riabilitazione Marko viene spedito in Belgio tra le fila dell’Anderlecht.
Altro prestito, altro downgrade nella sua carriera, altro flop sia in termini di presenze che di apporto decisivo.
Marko rientra a Torino. Il raduno della Juventus per l’inizio della nuova stagione è alle porte. Pjaca si presenta tirato a lucido, con un piglio diverso. Gli occhi tradiscono una rabbia incredibile per quello che avrebbe dovuto essere e non è stato.
Si mette in mostra nell’amichevole con il Novara, andando in gol. Marko vorrebbe giocarsi le sue chance ma Pirlo non è della stessa idea.
Il croato accetta di trasferirsi alla corte di Maran, all’ombra della Lanterna. Ennesimo prestito. Stavolta al Genoa.
Nessuna squadra, comprensibilmente, può correre l’enorme rischio di investire su un talento reduce da due gravissimi infortuni.
Pjaca sa di giocarsi molto. Probabilmente l’ultima possibilità per non cadere nell’oblio dell’ “uno come tanti”. Per ritagliarsi uno spazio nell’ambito europeo che tanto ama e che lo ha visto protagonista negli anni della sua esplosione.
Dovrà essere solido a livello mentale, la sua principale carenza.
Comprendere che gli alti e i bassi saranno inevitabili, starà a lui aumentare i giri del motore.
L’esordio ieri a Marassi è di quelli che lasciano ben sperare. Subentrato al 68′ al posto di Pandev riesce a piazzare la zampata dopo soli 7 minuti. Progressione bruciante in profondità e destro preciso sul secondo palo. Un concentrato delle sue enormi qualità.
Starà a lui confermarsi, magari prendendo spunto dagli splendidi versi dei Tiromancino
“Avere la pazienza delle onde, di andare e venire. Ricominciare a fluire.”