Personaggi – Il mio nome è Rodriguez, James Rodriguez
Quante volte, nel corso della nostra esistenza, ci siamo interrogati sul diverso epilogo che avrebbero potuto avere le tappe intermedie dei nostri percorsi?
Alzi la mano chi non ha mai attribuito al destino la paternità della propria incompiutezza, quasi fosse un’onta, una macchia di cui vergognarsi.
Provate, solamente per una frazione di secondo, ad immaginare il senso di frustrazione di chi all’interno del suo incompleto repertorio ha vinto, quasi sempre da protagonista, sedici titoli nazionali in giro per il mondo, due Champions League, un’Europa League, due Mondiali per Club, due Supercoppe Uefa, e il premio come miglior marcatore di un Mondiale.
Stiamo parlando di un craque, direte voi.
E’ la storia del più grande rimpianto che il calcio moderno abbia visto calcare un rettangolo di gioco.
Un concentrato di tecnica sopraffina, potenza, visione di gioco, efficacia, precisione.
Le qualità appena descritte hanno un nome ed un cognome,
James Rodriguez
Figlio e nipote d’arte. Il padre, lo zio ed il nonno sono stati dei discreti calciatori in patria.
La madre è, invece, una grande appassionata di cinema hollywoodiano. La saga di James Bond è in assoluto la preferita.
Inevitabile dare al neonato colombiano il nome del più famoso 007 del mondo. Attenzione però.
La pronuncia è quella spagnola, non si transige. Si legge “Hames” non “Geims”.
La precoce infanzia di Rodriguez è vissuta a pane e calcio.
Il trauma della separazione dei genitori lo porta a chiudersi in sé stesso. Comincia a balbettare. Il calcio servirà come terapia per donargli una meritata serenità.
Muove i primi passi all’Academia Tolimense ad appena cinque anni.
Non è nemmeno entrato nella fase adolescenziale quando si laurea capocannoniere del torneo nazionale under-12 colombiano con ben 9 reti.
L’ultima di queste, direttamente da calcio d’angolo, permetterà a James ed ai suoi compagni di vincere la competizione.
Il talento è abbagliante. Le movenze rapide ed eleganti. Fin troppo facile accorgersi di questo ragazzino.
L’Envingado, club di Medellin, brucia la concorrenza. Si accorda con la madre di Rodriguez e si assicura le prestazioni del giovane tredicenne. La Tolimense non ci sta ed intraprende un’azione legale per ottenere un indennizzo.
Segnali lampanti che il materiale che si ha per le mani è pronto ad esplodere da un momento all’altro.
Così avviene.
Nelle due stagioni con gli arancio verdi mette a segno venti reti in cinquantacinque presenze.
Un dato incredibilmente mostruoso per un quindicenne
Gli osservatori rimangono colpiti dal veloce adattamento dell’estroso James al ruvido calcio colombiano.
Nessuna fatica a sporcarsi le mani e i piedi. Sempre con classe, of course.
Ben presto viene soprannominato “El Bandido”.
Sintesi perfetta, come vuole la tradizione sudamericana, delle sue movenze in campo.
Una danza ingannevole, quasi truffaldina, per le difese avversarie.
Un killer per chi se lo ritrova contro e subisce gol e assist a volontà.
Non ancora maggiorenne accetta le lusinghe del Banfield e vola in Argentina.
La concorrenza è spietata. James lo è ancora di più.
Due annate incredibili, condite da un impatto devastante in Copa Libertadores (5 gol e due assist) e dalla vittoria del Torneo di Apertura, primo titolo professionistico per gli “El taladro”.
Il passaggio al football europeo è maturo.
Destinazione naturale è la terra lusitana, fronte Oporto, per affiancare i suoi connazionali Guarin e Falcao.
Arriva la consacrazione per “El Bandido”
La prima stagione è di studio verso il nuovo mondo che lo circonda. Non attenderà molto per conquistare un posto fisso negli undici.
Un triennio inimmaginabile, fatto di vittorie, trofei in serie e prestazioni superbe.
Il bilancio finale con il Porto recita 3 campionati, 1 Europa League, 3 Coppe Portoghesi, 3 Supercoppe Portoghesi.
Uno strappo muscolare nella parte finale della stagione frenerà la sua ascesa definitiva, rallentando il suo percorso di crescita.
A ventidue anni il palmarès di Rodriguez non ha nulla da invidiare a quello dei patinati e navigati Signori del Calcio.
Appare inspiegabile, dunque, il mancato approdo immediato ad una big europea.
Si fa sotto il Monaco, appena promosso in Ligue 1.
Settanta milioni sono una cifra che farebbe traballare qualsiasi presidente.
“El bandido” non è totalmente convinto della bontà del progetto ma a giugno ci sono i Mondiali in Brasile, occorre giocare con continuità.
Il livello soft del campionato francese può esaltarne le innumerevoli doti.
James conferma le aspettative. Conduce per mano i monegaschi alla conquista di un secondo posto meritato, personalmente ad un passo dalla doppia cifra nelle segnature.
L’ambiente del Principato è piuttosto stretto per un fuoriclasse del genere. Lo sanno tutti, lo sa anche lui.
La carriera può pazientare.
Il colombiano desidera ardentemente diventare un idolo per la propria gente.
Ha trascinato i “Los Cafeteros” nelle qualificazioni e vuole ritagliarsi uno spicchio, neanche troppo piccolo, nel mondiale carioca.
Il CT Pekerman crede fortemente in lui, assegnandogli la maglia numero 10.
Per chi, come James, è cresciuto seguendo le gesta di Oliver Hutton nel celebre cartone animato “Holly&Benji” si tratta di un sogno ad occhi aperti.
In Brasile “El Bandido” fa propri gli insegnamenti del dieci della New Team, disputando una competizione da favola.
Porta la Colombia ai quarti di finale, miglior risultato nella sua storia.
Vince la classifica cannonieri con sei reti e ben due partite in meno. Scarpa d’oro mondiale.
James Rodriguez è in vetrina. Si sprecano i paragoni con i Mostri Sacri.
Bussa alla sua porta il Real Madrid. L’offerta è di quelle che non si possono rifiutare, anche per il Monaco. E’ il giocatore colombiano più costoso di sempre.
Alla presentazione al Bernabeu è presente una folla oceanica, 45.000 persone.
James non difetta di personalità, chiede ed ottiene la camiseta numero dieci. E’ o non è, del resto, il capocannoniere del mondiale?
Ad attenderlo vi è Carletto Ancelotti, un signore che dà del tu ai grandi giocatori.
L’ideale per un ragazzo come Rodriguez.
La prima annata viene vissuta da autentico protagonista: 17 gol e 17 assist, Supercoppa Europea e Mondiale per Club.
Implacabili giungono la malasorte e i guai fisici.
James si rompe il quinto metatarso del piede destro in un banale scontro di gioco contro il Siviglia. Due mesi fuori.
Nel frattempo i Blancos cambiano allenatori, uno dietro l’altro. Via Ancelotti, dentro Benitez e, successivamente, Zinedine Zidane.
Ha inizio la discesa de “El Bandido”. Scarso feeling con Zizou, concorrenza feroce in attacco, nuovi guai fisici.
Tra il 2015 ed il 2017 Rodriguez vedrà il campo con il contagocce, spesso subentrando.
La pallida fotocopia del fuoriclasse che aveva incantato il mondo.
James si deprime.
Gli interrogativi sul suo reale valore si susseguono. Molti di questi arrivano proprio da lui.
Brillante meteora o campione sfortunato? Nemmeno i titoli conquistati in serie dal Real Madrid gli faranno ritrovare il sorriso.
Non si reputa parte della vittoria, artefice dei trionfi.
Ancelotti, nel frattempo finito in Baviera, fiuta il colpo. Lo rivuole con sé al Bayern Monaco.
Il destino del Mister italiano e del giovane colombiano è beffardo. Anche in questa occasione il connubio durerà ben poco.
Alla fine di settembre Ancelotti verrà esonerato e James ripiomberà nell’anonimato di stagioni normali, prive di guizzi degni di nota.
Il ritorno a Madrid nel 2019 non lascia preludere nulla di buono.
Il genio del dieci colombiano si è improvvisamente spento, come colpito da un blackout perenne.
Sulla panchina delle merengues “El Bandido” ritrova Zidane.
Il tecnico francese non vede James, questo è chiaro.
Le occasioni per mettersi in luce stentano ad arrivare.
All’alba dei ventotto anni Rodriguez appare un giocatore finito, sorpassato, sopravvalutato. Uno dei tanti.
Colpa di un fisico tormentato dai guai, di una tenuta mentale poco consona ai grandi palcoscenici.
Guai a dirlo a Carletto però.
Ancelotti, da poco giunto sulla panchina dell’Everton, fa subito un nome alla dirigenza toffees, quello del colombiano.
Due anni prima c’aveva provato, invano, a Napoli.
Individua in James la pietra su cui ricostruire i blues di Liverpool.
El Bandido non se lo fa ripetere due volte.
Al bando le scaramanzie. Tutte, tranne una. James non vuole più sentir parlare del numero dieci.
Opta per un più comodo e meno pretenzioso 19 ed i risultati sembrano dargli ragione.
L’Everton vola nell’avvio di Premier League di quest’anno. 4 partite, 12 punti.
Percorso netto
James Rodriguez si presenta al pubblico del Goodison Park con tre gol e una serie di prestazioni convincenti, di colpi di classe, di giocate mozzafiato.
Ancelotti si augura che il loro sodalizio continui più delle precedenti esperienze.
Come Oliver Hutton ed il suo mentore Roberto Sedinho.
James spera nello stesso epilogo, per tornare a far luccicare gli occhi dei suoi fans, dei suoi connazionali, dei suoi tifosi.
Come in un film di spionaggio inglese, magari dopo un gol da cineteca.
Sguardo verso l’obbiettivo, voce stentorea, braccia distese e una semplice frase da scandire “Il mio nome è Rodriguez, James Rodriguez”.