Mentre Clarence Seedorf e Patrice Evra discutevano animatamente di questioni tattiche, tecniche e di gioco, da uno studio televisivo è arrivato immediatamente il monito: “questa sera è stata completata l’estinzione del calcio italiano”. Era da poco terminata Juventus-Villarreal, gara valida per il ritorno degli ottavi di finale di Champions League. La squadra guidata da Unai Emery aveva appena rifilato un sonoro 0-3 a quella allenata da Massimiliano Allegri. Nell’analisi, invece, più che la Juventus è spuntato immediatamente il calcio italiano. Quel calcio bistrattato, povero di euro e di campioni. Ma non di idee per la maggior parte delle squadre e per la Nazionale campione d’Europa appena otto mesi fa.
Alla domanda posta nel sottotitolo, “l’eliminazione della Juventus rappresenta il fallimento del calcio italiano?” noi, mestamente avremmo una risposta. L’eliminazione della Juventus in Champions League non rappresenta il fallimento del calcio italiano, rappresenta il fallimento della Juventus. Non fosse altro per un banale rapporto di causa-effetto. I bianconeri sono il club che in Italia ha speso più di chiunque altro negli ultimi anni. Non più lontano di due mesi fa, a Torino è arrivato dalla Fiorentina per 70 milioni di euro uno dei migliori prospetti del calcio mondiale: Dusan Vlahovic. L’Inter ed il Milan ad esempio, giocatori più o meno dello stesso valore economico del serbo sono stati costretti a venderli o a perderli a parametro zero. Parliamo naturalmente di Romelu Lukaku e Gianluigi Donnarumma. Solo la bravura e l’ingegno dei dirigenti nerazzurri e rossoneri ha fatto si che i due venissero sostituti da Edin Dzeko e Mike Maignan. Per tornare ai fatti di casa Juventus potrebbe far riflettere anche un altro dato: nelle ultime 4 edizioni della Champions League i bianconeri sono stati eliminati tre volte agli ottavi di finale ed una volta ai quarti di finale. Le eliminazioni sono arrivate per mano di Villarreal, Lione, Porto ed Ajax. Quattro squadre lontane anni luce dalle Top 10 europee. Il riferimento alla top 10 non è casuale. In uno dei post partita più incredibili di sempre, Massimiliano Allegri ha testualmente detto: “Sapevo che uscendo stasera si sarebbe parlato di fallimento, ma questa è disonestà intellettuale. Conosco il valore della Juve e sono due mesi che giochiamo con gli stessi per via degli infortuni”. E ancora: “Poi bisogna essere realisti. In Europa ci sono 10 squadre che sono di livello superiore alla Juventus. Non è una vergogna, è un dato di fatto. Che stasera si potesse passare il turno, sono d’accordo. Ma non è che era facile. Bisogna migliorare dove si deve”. Ecco, il Villarreal di sicuro non rappresenta l’élite del calcio europeo. È innegabile che l’anno scorso dalle parti dello stadio della Ceramica hanno visto alzare al cielo l’Europa League, ma la squadra che rappresenta una città di 50.000 abitanti è una squadra, appunto, da Europa League. A nostro modo di vedere il fallimento juventino ha due colpevoli che in un certo senso si intersecano fino a diventarne uno solo. Parliamo delle scelte societarie degli ultimi anni e dell’allenatore attuale. La dirigenza juventina dopo l’arrivo di Cristiano Ronaldo e l’addio di Giuseppe Marotta ha smarrito la bussola. Sono stati sbagliati alcuni acquisti a parametro zero e soprattutto non vi è più stata una chiara linea dal punto di vista tecnico. Si è passati da Allegri a Sarri, per poi andare a Pirlo fino a tornare ad Allegri. Idee di calcio, moduli, esperienze e modi di approcci al lavoro totalmente diversi gli uni dagli altri. Il fallimento juventino è prima di tutto il fallimento di un’idea di calcio e di sport in generale. Quell’idea di chi crede che speculare sulle debolezze dell’avversario sia più redditizio che far leva sulle proprie forze. Questo tipo di visione non basta più in Italia e non è mai bastata in Europa. È inutile, anche da parte degli addetti ai lavori continuare a nascondere la testa sotto la sabbia. Una riflessione sul calcio italiano sicuramente va fatta, sull’organizzazione, sulla struttura delle più alte cariche dirigenziali, sul problema atavico della formazione dei talenti e sulle infrastrutture. Mischiare però i problemi innegabili del calcio italiano all’ennesima débâcle juventina, questa volta, ci scuserete, ci sembrava veramente da disonesti.