Se fermaste dieci persone a caso in una qualsiasi via di una qualsiasi città europea e chiedeste loro chi sia Matthew Benham, sicuramente vedreste solo sguardi perplessi. Eppure, nel Vecchio Continente esistono due luoghi in cui tutti, ma proprio tutti, conoscono questo nome. Uno è Brentford, distretto della parte ovest di Londra. L’altro è Herning, città della regione dello Jutland centrale, in Danimarca. Dove, cioè, Benham sta lasciando un’impronta fortissima di sé, facendo delle due squadre di calcio di cui è proprietario modelli virtuosi. La prima, omonima del sobborgo londinese di cui sopra, è la sua squadra del cuore. Quella danese, invece, è un vero e proprio laboratorio calcistico. Si chiama Midtjylland, è stata fondata nel 1999 e quest’anno, per la prima volta nella sua breve storia, parteciperà alla Champions League.
Partiamo da Londra. Ma, prima, una doverosa digressione su Matthew Benham. Laureato in Fisica a Oxford, per anni lavora nel settore della finanza, prima di dedicarsi completamente al mondo delle scommesse sportive. Inizialmente da semplice scommettitore, seppur professionista, poi da imprenditore. Fondatore di una società di consulenza e poi proprietario di un’agenzia, alla metà degli anni Duemila Benham decide di finanziare il “suo” Brentoford, che naviga in cattive acque dal punto di vista economico.
Per un po’ Benham si limita ad aiutare il club in modo del tutto anonimo, scatenando anche una certa curiosità tra i supporter biancorossi. Poi, nel 2012, compra il Brentford e inizia un’opera di risanamento dei conti e rinnovamento delle strutture. I risultati arrivano subito. Alla prima stagione da proprietario di Benham, il Brentford ottiene la promozione in Championship. In quella successiva, i biancorossi sfiorano addirittura la Premier League, perdendo però la finale-playoff contro lo Yeovil Town. Insomma, il Brentford si piazza in Championship e non ne esce più. Anzi. Nella scorsa stagione è arrivato di nuovo 3°, a soli 2 punti dal West Bromwich, qualificandosi per i playoff ma perdendo ancora in finale, stavolta contro il Fulham.
Dietro la rapida ascesa del Brentford non ci sono investimenti folli, che Benham non può permettersi, ma una strategia precisa. Non potendo competere economicamente con altre realtà, Benham decide di applicare al calcio ciò che conosce meglio: modelli matematici e statistiche avanzate. In questo modo riesce a fare acquisti mirati, puntando sulle “gemme nascoste“: calciatori poco considerati dalle altre squadre, ma di cui le statistiche indicano caratteristiche peculiari e potenzialità inespresse.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Quando gli Expected Goals (o xG, tanto per citare un dato oggi largamente utilizzato nel calcio) sono ancora materia oscura, il Brentford è più avanti di tutti. Benham compra così calciatori a basso prezzo, scartati da club più prestigiosi già nelle giovanili. È il caso, per esempio, di Neal Maupay, preso dal Saint Etienne per soli 2 milioni e venduto al Brighton per 22, due anni dopo. In questo modo il Brentford riesce ad autofinanziarsi senza che l’andamento sportivo ne risenta.
Matthew Benham è un personaggio molto riservato, ma non nasconde i suoi metodi: “È una cosa che noto sempre nel calcio. Se voglio sapere quanto sia bravo un calciatore, voglio parlare con chi lo ha visto giocare cento volte, in ogni condizione, Ciò che succede, invece, è che molti osservano un calciatore per 40 minuti e credono di essere oracoli. Io non parlo solo di vittorie, sconfitte o gol, perché c’è un enorme quantità di ciò che chiamiamo ‘rumore statistico’ in quei dati. Io guardo al numero e alla qualità delle occasioni che una squadra crea.”
“Se cerco un centravanti non mi interessa quanti gol segni. Per me, l’unico dato interessante è cosa fa la squadra a livello collettivo, offensivo e difensivo nel contesto di una prestazione individuale. Ero molto scettico sull’uso delle statistiche per i singoli giocatori, ma ora sono più aperto. Ci sono pro e contro. La cosa buona, per esempio, è che un calciatore può essere bravo nei contrasti e negli intercetti, ma non lo capisci davvero perché calciatori così non restano impressi. Dall’altro lato, però, un magari un calciatore fa tanti contrasti perché è fuori posizione. Questi dati possono avere diversi usi, ma hanno sempre bisogno di un contesto.”
Ma a convincere Benham che questi metodi possano funzionare è un misconosciuto ex calciatore danese. Si chiama Rasmus Ankersen, allena le giovanili di un club nel suo Paese ma soprattutto diventa un esperto nel campo delle statistiche applicate al calcio, tema su cui scrive dei libri. Benham lo scopre e tra i due nasce una collaborazione di successo, già al Brentford. La svolta arriva nel 2014, quando, dietro consiglio di Ankersen, Benham compra il Midtjylland. Una scelta tutt’altro che casuale. Non solo perché è la squadra in cui ha giocato e allena Ankersen, ma perché ha una delle migliori scuole calcio del Paese.
I due decidono quindi di applicare in Danimarca gli stessi schemi già rodati a Londra, ma con una differenza. Mentre Benham ha deciso di “tagliare” il settore giovanile del Brentford, a Herning l’academy (anzi, Akademi) è il vero fiore all’occhiello del club. Non solo per le strutture già funzionanti di Herning, ma anche perché il Midtjylland può contare su una fitta rete di squadre satellite, che si estende dalle vicinanze della città a India e Africa, coprendo diversi Paesi da cui pescare talenti.
Dal settore giovanile del Midtjylland passano ed escono così volti noti del calcio europeo come Simon Kjaer, Winston Reid e Pione Sisto. Ma non mancano le “gemme nascoste” scelte accuratamente in base ai modelli statistici sviluppati da Benham e Ankersen e già applicati con successo a Londra. È il caso, per esempio, del centrocampista finlandese Tim Sparv, prelevato dal Greuther Furth, club della Zweite Liga tedesca, che diventa in breve uno dei cardini del Midtjylland.
Sotto la gestione Benham-Ankersen, il successo arriva subito anche per il Midtjylland. Nel 2014/2015, stagione d’esordio della nuova proprietà, arriva il primo titolo nazionale della giovane storia del club. Una vittoria preziosa, perché consente al Midtjylland di prendere parte ai preliminari di Champions League, da cui viene però eliminato al terzo turno. Finisce dunque in quelli di Europa League, nei quali elimina il Southampton (con gol decisivo proprio di Sparv) e vola ai gironi della seconda competizione continentale. Dove fa un altro mezzo miracolo, passando da seconda il girone D, composto da Napoli, Club Bruges e Legia Varsavia. Ai sedicesimi di finale si permette anche di giocare un tiro mancino al Manchester United, battendolo 2-1 in Danimarca. A Old Trafford, una settimana dopo, il Midtjylland ne prende 5, ma l’eliminazione era prevedibile.
Prevedibile come il fatto che il modello Benham-Ankersen continui a funzionare con regolarità. Nel 2018 il Midtjylland vince il suo secondo campionato danese, ma non passa i preliminari di Champions League ed Europa League. La stagione successiva è la volta della prima vittoria nella coppa nazionale. E infine, nella scorsa stagione, del terzo titolo danese: quello che vale ancora una volta l’accesso ai preliminari di Champions League, superati battendo Ludogorets, Young Boys e infine Slavia Praga, quest’ultima in modo decisamente rocambolesco. Ciò che conta, però, è che il Midtjylland giocherà per la prima volta la Champions League, e lo farà, curiosamente, ancora nel girone D. Solo che stavolta, al posto di Napoli, Bruges e Legia ci sono Liverpool, Ajax e Atalanta. Insomma, sulla carta l’ultimo posto sembra assicurato, ma quando ci sono Benham e Ankersen non va mai dato nulla per scontato.
La storia di Benham (e Ankersen) viene spesso accostato a quella degli Oakland Athletics, squadra di baseball statunitense guidata da Billy Beane, general manager convinto di poter usare le statistiche per mettere su una squadra competitiva con giocatori scartati da quelle più forti. Un’intuizione che, nel 2002, frutta agli Athletics il record di vittorie consecutive in MLB e la qualificazione alla post-season. Una vicenda meravigliosamente narrata in un libro (da cui è stato tratto anche un film) intitolato Moneyball.
Ma non parlate di Moneyball a Benham. “Non mi piace questo confronto. È eccessivamente frainteso. La gente pensa ‘ah, Moneyball, la storia di quei tizi che hanno applicato le statistiche al baseball’. Ma il baseball è sempre stato ossessionato dalle statistiche. L’idea dietro Moneyball non riguardava l’uso di qualsiasi vecchia statistica, ma un esercizio scientifico per capire quali effettivamente aiutassero a prevedere le cose. L’etichetta di Moneyball può confondere perché la gente pensa che si tratti di usare qualsiasi dato piuttosto che provare a farne un utilizzo scientifico.” Forse sarebbe più corretto parlare di Brentball. O Midtjyball. O Benhamball. Fate voi.