Champions League

Nerazzurri a metà: la serata europea di Atalanta e Inter

Storie di Champions League, lasciate in eredità da un mercoledì sera a tinte nerazzurre. Da un lato l’Atalanta impegnata nella fredda Danimarca, a testare resistenza ed ambizione di una debuttante come il Midtjylland. Dall’altro lato l’Inter, nel fragoroso silenzio di San Siro, opposta ad un Borussia Monchengladbach voglioso di far male, con la spensieratezza e la gioventù del proprio reparto offensivo.

I bergamaschi reduci dal KO in campionato di Napoli, l’Inter da quello nel derby di Milano. Entrambe, erano chiamate a dare risposte, convincenti s’intende.

(Photo by HENNING BAGGER/Ritzau Scanpix/AFP via Getty Images)

L’Atalanta ci è riuscita, giocando una partita praticamente perfetta in Danimarca. Sfida messa in ghiaccio già dopo i primi 45′ chiusi sullo 0-3 a proprio favore. Un attacco semplicemente strepitoso, il migliore, per distacco in termini numerici, nella scorsa stagione in Italia. Il primo gol, manifesto del calcio di Gasperini. Nell’area avversaria, con i propri tre difensori centrali, protagonisti prima della zampata decisiva di Duvan Zapata. Voglia spropositata di far male all’avversario, in un meccanismo ormai oliato anche al di fuori degli italici confini. Come il “PapuGomez, giocatore universale, idolo di Bergamo, in grado di disegnare traiettorie sconosciute ai più. Un attacco sudamericano, composto da un pizzico d’Argentina a far da suggerimento alla coppia dei “Cafeteros”, i colombiani, Zapata e Muriel che mettono entrambi il loro nome nel tabellino dei marcatori.

L’Atalanta ha dimostrato di essere diventata grande, dopo la semifinale svanita nei minuti di recupero della scorsa edizione. Anche con gli innesti dalla panchina, del ritrovato Josip Ilicic e del nuovo arrivato Aleksej Miranchuk. Il russo prelevato dalla Lokomotiv Mosca, all’esordio stagionale, subito in grado di deliziare i palati fini con un gol semplicemente sublime. 0-4 il risultato finale, la campagna danese ha dato i suoi frutti, a conferma della bontà del progetto tecnico atalantino e della qualità degli uomini a disposizione di Gian Piero Gasperini.

(Photo by MIGUEL MEDINA/AFP via Getty Images)

A Milano, l’Inter si è aggrappata sulle spalle possenti del proprio colosso d’ebano. Romelu Lukaku, 191cm di cuore, anima e dedizione alla causa, da Anversa. Il prodotto di Antonio Conte, non è un prodotto finito. Rinforzata rispetto allo scorso anno, continua a mancare sistematicamente la voglia di “azzannare” la partita nel momento decisivo. La positività al Covid-19 di Hakimi nel pomeriggio ha sicuramente influito, proprio lì nelle praterie sulla corsia destra che i tedeschi hanno lasciato per un indomito Darmian che ha fatto ciò che poteva, ma che il marocchino avrebbe fatto sicuramente meglio. Nel primo tempo si sono rivisti anche alcuni sprazzi di quel Christian Eriksen ammirato per anni in Premier League, alcune giocate, fatte da un calciatore dal pensiero decisamente superiore.

La doppietta di Lukaku nella ripresa, intervallata da una giocata di Lautaro Martinez che avrebbe meritato il gol e non il rumore sordo del palo. In mezzo, le disattenzioni difensive. Nel derby era stato Kolarov. Ieri sera ci ha pensato Vidal a “regalare” rigore e secondo gol ai tedeschi. Inevitabile il 2-2 finale. L’Inter risulta essere vittima un po’ di se stessa, della voglia di proporre, senza, al momento, l’aiuto del necessario filtro e scudo da parte del centrocampo.

Nerazzurri a metà dunque, con la speranza per il calcio italiano che alla fine dei gironi sia: nerazzurri alla meta. Un accento, un banalissimo accento che però può fare tutta la differenza del mondo.

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Published by
Raffaello Lapadula