Il 29 gennaio 1966, a Rio de Janeiro, nasce Romário de Souza Faria, o più semplicemente Romário. Uno dei più grandi goleador della storia del calcio, funambolo e trascinatore, erede di Maradona per un verso, apripista di Ronaldo per un altro. Cresciuto nelle giovanili del modesto Olaria, nel 1981 entra nel vivaio del ben più prestigioso Vasco da Gama. Qui, a 19 anni, esordisce nel massimo campionato brasiliano, vince due campionati dello Stato di Rio e altrettanti titoli di capocannoniere a livello statale. Velocità, fantasia, fiuto del gol, fanno di Romário l’oggetto del desiderio di tanti club europei. Ma ad arrivare per primo è il PSV, che nel 1988 lo porta in Olanda.
L’impatto con il calcio europeo del “Baixinho” (il piccoletto, ndr), è stupefacente. In cinque stagioni nei Paesi Bassi segna un totale di 174 gol, vincendo tre scudetti e 2 Coppe d’Olanda. Nel 1993, al termine della sua ultima stagione con la maglia del PSV, arriva secondo nella classifica del FIFA World Player of the Year, alle spalle di Roberto Baggio. In estate, passa al Barcellona, chiamato da Johan Cruijff per arricchire di talento il Dream Team. La prima stagione in blaugrana è un trionfo: con 33 reti si laurea Pichichi della Liga, vince il campionato e arriva in finale di Champions League, dove il Milan mette prepotentemente fine al sogno. A giugno, appuntamento con la Coppa del Mondo in Usa, dove trascina il Brasile a suon di gol – 5 alla fine del torneo – fino alla finale. Che la Nazionale Verdeoro vince ai calci di rigore contro l’Italia.
Per Romário è il punto più alto della carriera, cui, beffardamente, segue a stretto giro di posta il più basso. Rientra a Barcellona con 18 giorni di ritardo, mandando su tutte le furie la dirigenza, che lo multa pesantemente. Johan Cruijff lo lascia fuori spesso nella prima parte della stagione, e a gennaio le strade si dividono. Quella di Romário porta dritta al Brasile, a casa, al Flamengo, che lo paga 7 milioni di dollari. Dopo pochi mesi ritenta l’avventura europea, questa volta al Valencia, ma presto torna sui suoi passi. Prima nel Flamengo, poi nel Vasco da Gama e nella Fluminense, segna caterve di gol. Giocherà fino al 2009, tra Brasile, Qatar, Stati Uniti e Australia, alla continua ricerca del gol numero 1.000.
Un obiettivo impossibile, anche per uno dei più talentuosi giocatori brasiliani della storia. Incapace di stare alle rigide regole del calcio europeo, ma stella assoluta del proprio Paese, nato dalla polvere della peggiore favela di Rio de Janeiro, e oggi al servizio degli altri attraverso l’impegno politico.