Il 18 febbraio 1967, a Caldogno, nasce Roberto Baggio. Ossia, il calciatore italiano più forte, per distacco, della sua generazione. Cresce calcisticamente nel Vicenza, con cui esordisce, in serie C1, a poco più di 15 anni. Numero dieci naturale, fantasista geniale sin da giovanissimo, mette in mostra tutto il suo talento nella stagione 1984/1985, riportando il Lane Rossi in Serie B a suon di gol e di magie. Che non passano inosservate ai piani alti del calcio.
A puntarci, con un investimento enorme per l’età e per l’epoca (2,7 miliardi di lire) è la Fiorentina, che nonostante un grave infortunio porta Roberto Baggio in Toscana. Per vederlo in campo, bisognerà aspettare il 1986, ma è l’anno successivo quello della consacrazion. Gioca con continuità e segna 9 reti, alcuni fantastici.Nel 1988 arriva in panchina Sven-Göran Eriksson, e nonostante prestazioni sempre di altissimo livello, si palesano i primi dissapori tattici. Saranno, nella carriera del Divin Codino, il leit motiv, insieme ai frequenti infortuni alle ginocchia. Comunque sia, a Firenze si consacra come uno dei maggiori talenti del mondo, sullo stesso piano di Maradona e Van Basten.
Nel 1990, dopo una trattativa estenuante, passa alla Juventus, per 25 miliardi di lire. I tifosi viola non la prendono bene, e lo stesso Roberto Baggio è riluttante all’idea di lasciare Firenze. Come racconterà anni dopo il suo procuratore dell’epoca, Antonio Caliendo, “Mi ricordo ancora la scena: quando Baggio passò dalla Fiorentina alla Juventus, in conferenza stampa, davanti ai giornalisti gli misero al collo la sciarpa bianconera e lui la gettò via. Fu un gesto imbarazzante. Io dissi che il ragazzo andava compreso: era come se avessero strappato un figlio alla madre. Ammetto che, quella volta, rimasi molto colpito anch’io”.
Comunque sia, dopo i Mondiali del 1990, giocati in casa, dei quali non è il protagonista assoluto, ruolo che interpreta Totò Schillaci, fa il suo esordio in maglia bianconera. Vivrà stagioni ricche di soddisfazioni, ma anche di dissapori e dualismi. Da un lato l’avvento di Marcello Lippi, dall’altro l’ascesa di Alessandro Del Piero, lo portano sempre più fuori dagli schemi e dal progetto della Juventus. Non aiutano, specie nell’ultima stagione, neanche i dissapori con la dirigenza e con gli Agnelli. Nonostante tutto, con la Juve Roberto Baggio vincerà uno scudetto, una Coppa Uefa ed una Coppa Italia, arrivando anche primo nel Pallone d’Oro del 1993.
Successi che non bastano a trattenerlo a Torino, che lasica nel 1995, dopo una stagione tribolata. Iniziata al termine del Mondiale di Usa ’94, deciso ai calci di rigore e vinto dal Brasile dopo gli errori degli uomini simbolo della Nazionale Azzurra, Franco Baresi e lo stesso Roberto Baggio. Un errore iconico, che ha segnato la storia del calcio italiano, ma è pur vero che “I rigori li sbagliano soltanto quelli che hanno il coraggio di tirarli”. A novembre del 1994 finisce di nuovo sotto i ferri, ma al rientro darà un contributo importante al finale di stagione della Juventus che, come detto, saluta a fine anno.
Passa al Milan, dove vivrà due stagioni tutt’altro che esaltanti. Nella prima, Fabio Capello lo usa con una certa continuità, pur alternandolo spesso con Savicevic e gli altri compagni di squadra. Quella successiva, con l’esonero di Tabarez e il ritorno di Sacchi, è invece più complicata. Roberto Baggio fa tanta panchina, troppa per il suo talento, e il rapporto con il tecnico di Fusignate si fa sempre più teso. A fine stagione, però, neanche il ritorno di Capello lo rimetterà al centro del progetto tecnico del Milan.
Finisce un altro ciclo, e per ripartire, anche in vista del Mondiale di Francia ’98, sceglie il Bologna, con cui rinasce. Segna 22 reti, e nonostante il pessimo rapporto con il tecnico Ulivieri si riprende la scena e la Nazionale, con Cesare Maldini che lo preferisce a Del Piero in più di un’occasione. Tornato dalla Francia, Roberto Baggio accetta l’offerta dell’Inter, che gli offre la possibilità di giocare al fianco di Ronaldo e lottare per lo scudetto. Obiettivo effimero, perché nei due anni in nerazzurro la squadra dovrà affrontare una crisi tecnica dopo l’altra. Dopo l’esonero di Simoni, che aveva voluto Baggio, e l’arrivo di Lippi in panchina, la situazione si fa insostenibile, e diventa la sesta scelta tra gli attaccanti.
Così, nell’estate del 2000, da svincolato, si accorda con il Brescia, regalandosi un finale di carriera forse inatteso, ma ricco di soddisfazioni. In provincia, con Carlo Mazzone in panchina, trova la giusta dimensione. Poche pressioni, l’affetto incondizionato di una tifoseria, e la libertà di esprimere tutto il suo talento senza che venga intrappolato nella gabbia di rigidi dettami tattici. Dopo quattro anni, chiusi sempre in doppia cifra, definitivamente riappacificatosi con il mondo del calcio, appende gli scarpini al chiodo. Lo fa tra le lacrime di milioni di tifosi che, nei vent’anni in cui ha giocato a pallone, hanno imparato ad amarlo. Roberto Baggio, campione planetario e calciatore più popolare al mondo a metà degli anni Novanta, nell’Olimpo con Maradona o Pelé.