Franco Baresi, all’anagrafe Franchino, nasceva l’8 maggio 1960 a Travagliato, in provincia di Brescia. Bandiera del Milan, al quale è stato legato da una carriera ventennale da giocatore, nonché della Nazionale, è considerato tra i più grandi difensori della storia del calcio, nonché l’ultimo importante interprete del ruolo di libero.
Franco, insieme ai fratelli Angelo e Beppe, iniziò a giocare a calcio da giovanissimo. Scartato da un provino con l’Inter, che gli preferì il fratello, fu preso dal Milan a quindici anni. Oggi, a 61 anni, è ancora al Milan con il ruolo di vicepresidente onorario. Ad esclusione di una brevissima esperienza da dirigente al Fulham, il matrimonio tra Baresi e i colori rossoneri va avanti da quarantotto anni.
Baresi era un difensore dallo spiccato senso della posizione e dalle notevolissime doti di lettura, che coniugate con una notevole esplosività fisica ne facevano un centrale insuperabile. Dotato di una grande leadership carismatica fin da giovane, divenne proverbiale il suo “braccio alzato” a chiamata del fuorigioco, secondo l’interpretazione sistematica dello stesso data da Arrigo Sacchi. Infatti, superate le difficoltà di adattamento ai dettami sacchiani sulla difesa a zona, ne divenne magistrale interprete.
Abile costruttore di gioco in un calcio ancora poco avvezzo a stilemi quali la costruzione dal basso, era preciso nel lancio ma ancor di più nelle tipiche “uscite in guida”. Difensore che oggi definiremmo proattivo, era capace di difendere in avanti e al contempo di coprire ampi spazi di campo alle spalle. E con le sue chiusure in anticipo, spesso travolgenti, era capace di recuperare il possesso della sfera e partire in conduzione. Baresi era l’innesco del meccanismo perfetto del Milan delle meraviglie.
Esordì in prima squadra a 17 anni, nella stagione 1977-78. Il giovane Piscinin (soprannome datogli dal massaggiatore Paolo Mariconti), che già spiccava per grinta e personalità, entrò nelle grazie di Gianni Rivera. Di lui il capitano rossonero dichiarerà profetico: “Questo ragazzo farà molta strada”. Già l’anno successivo Nils Liedholm approvò la cessione di un libero di esperienza come Turone per puntare su di lui come titolare. Per il Milan, il 78-79 sarà l’anno della Stella, il decimo scudetto. E con il ritiro proprio di Rivera, divenne giovanissimo uomo simbolo dei rossoneri.
Rimase al Milan da leader anche nelle due stagioni in B, dovute la prima al caso Totonero e la seconda ad una retrocessione sul campo, nel 1982. Seppur reduce da una lunga convalescenza, Bearzot lo portò ai mondiali in Spagna. Pur senza esordire in azzurro (chiuso da Scirea), divenne campione del mondo a 22 anni.
Rifiutate offerte importanti e divenuto capitano dei rossoneri, contribuì al ritorno in serie A, nel frattempo esordendo finalmente anche in nazionale. Tuttavia il rapporto con Bearzot non fu idilliaco. Il Vecio lo utilizzava come mediano, ruolo che Baresi non gradiva. Litigò platealmente con il CT, che per punizione lo tagliò dai Mondiali ’86. Solo con l’arrivo di Azeglio Vicini in panchina, Baresi ritornò stabilmente nel giro azzurro, grazie anche all’addio alla Nazionale di Scirea dopo i mondiali messicani.
Gli anni seguenti al Milan furono gli anni dei trionfi del Milan di Berlusconi. Il lavoro di Sacchi portò al primo grande successo rossonero, lo scudetto 1987-88, ai danni del Napoli di Maradona. L’anno seguente, Baresi alzò la Coppa dei Campioni che mancava da vent’anni a Via Turati. Arrivò secondo nella classifica per il pallone d’Oro 1989, dietro il compagno di squadra Van Basten. Nel ’90 vennero replicati i successi europei, ma lo scudetto svanisce nella fatal Verona. L’anno seguente, l’era Sacchi, trionfante ma complicatissima sul piano della tensione emotiva, ha termine tra le nebbie di Marsiglia.
Sulla panchina rossonera arrivò Fabio Capello, già compagno di squadra di Baresi negli anni settanta. Kaiser-Franz ritornò subito a vincere il campionato nella stagione 1991-92. Baresi continuò a giocare ad alti livelli, alzando titoli a ripetizioni. I campionati del 1992-93, 1993-94 e 1995-96, le Supercoppe italiane 1992, 1993 e 1994 e la Champions League 1993-94 arricchirono la sua bacheca.
In Nazionale Baresi divenne titolare inamovibile a partire dall’88, e con l’Italia si fermò alle semifinali sia agli Europei ’88 che ai mondiali di Italia ’90. Anche in azzurro si impone come leader del gruppo, tanto da indossarne la fascia da capitano dal novembre ’90 (Italia-Unione Sovietica 0-0, qualificazioni Euro ’92). Con l’arrivo in panchina di Sacchi, e la conseguente esclusione di Bergomi dal giro azzurro, Baresi divenne stabilmente capitano azzurro, nonostante un rapporto non sempre semplice con il tecnico di Fusignano, seppur sempre caratterizzato da grande stima.
Da capitano Baresi disputò il campionato del mondo 1994 negli Stati Uniti, durante il quale subì un infortunio al menisco contro la Norvegia, nella seconda partita della fase a gironi. Dopo soli 25 giorni recupera a tempo di record per la finale contro il Brasile. Baresi disputò una partita straordinaria, ma sfinito dai crampi nell’asfissiante fornace di Pasadena, fallì il suo tentativo. Il suo errore, insieme a quelli di Massaro e Baggio, certificarono la vittoria dei verdeoro. Le sue lacrime furono l’emblema del Mondiale dell’Italia, tanto quanto le giocate di Roberto Baggio. Fu la sua penultima presenza in azzurro.
Nel 1997, oramai finito il ciclo di Capello al Milan e al termine di una stagione complicata, Baresi annunciò il suo ritiro. Per la prima volta nella storia del calcio italiano, il Milan prese la decisione di ritirare la sua storica maglia numero 6.