Nati oggi: Cesc Fabregas, El Arquitecto
Il 4 maggio 1987 nasceva ad Arenys de Mar Francesc Fabregas Soler, detto Cesc. Uno dei tanti prodotti eccellenti della generazione d’oro della Masia blaugrana, si trasferisce a Londra, sponda Arsenal, nel 2003 appena sedicenne. Nello stesso anno, esordisce con la maglia dei Gunners in League Cup nel match contro il Rotherham United diventando il più giovane calciatore dell’Arsenal di sempre ad aver giocato in prima squadra, all’età di 16 anni e 177 giorni.
Considerato un predestinato, Fabregas negli anni alla corte di Wenger è stata la prima ventata di juego de posiciòn in terra inglese, all’epoca sempre ancorata ai tradizionali dettami del “calcio inglese”, estremamente muscolare e poco avvezzo al controllo del pallone in favore di poderose verticalizzazioni.
Centrocampista completo, negli anni londinesi lo spagnolo si è imposto come calciatore centrale nel calcio moderno a livello concettuale: giocatore associativo, abile nell’impostare, rifinire e finalizzare, dotato anche di notevoli capacità di inserimento nonché di interdizione, bravo nella difesa posizionale per la sua intelligenza nel vedere e leggere le linee di passaggio, e al tempo stesso in grado di portare adeguata pressione in avanti. El Arquitecto, l’architetto del pallone.
Fabregas, che nei suoi primi 8 anni a Londra diventa una figura chiave del progetto tecnico di Wenger, raccoglie però pochi trofei. Pur affermandosi individualmente sul piano internazionale, gli unici titoli con la maglia biancorossa sono la Community Shield del 2004 e la Coppa d’Inghilterra del 2005. Nel 2011, da campione d’Europa e del Mondo in carica con la nazionale spagnola, torna al Barcelona. Siamo nella fase massima del guardiolismo, tanto in termini di vittorie quando di elevazione all’estremo dei concetti filosofico-calcistici. Ma quello che dovrebbe essere il naturale compimento di una storia d’amore, con la sua maglia n°4 blaugrana profetizzata anni prima da Guardiola, non si realizza in pieno. Cesc, privo della centralità che si era guadagnato all’Arsenal, in parte chiuso nelle gerarchie dal consolidato trio Busquets-Iniesta-Xavi, non riesce ad esprimersi al massimo nei tre anni in terra natia.
Troppo contaminato dal calcio inglese, si dirà. Fabregas non sembra capace di calarsi appieno nella teoria di gioco catalana, con la quale pure è cresciuto. Di fatto, prima con Pep, poi con Vilanova e Martino, diventa più che altro un’eclettica prima alternativa. Persino, spesso, come falso nueve piuttosto che tra i centrocampisti. In tre anni si riempie la bachecha: Liga (2013), Coppa del Re (2012), Supercoppa di Spagna (2011, 2013), Supercoppa Europea e Mondiale per Club (2011). Ma è superfluo, e se ne torna a Londra, sponda Chelsea.
Il primo anno con i Blues è trionfale. Sotto la guida di José Mourinho, il Chelsea vince la Premier League. E Fabregas torna a rendimenti elevatissimi, e soprattutto torna ad essere un giocatore indispensabile. Ma l’anno successivo è quello del tracollo dello Special One: è il 2016, l’anno dell’impresa del Leicester di Ranieri. Mourinho viene esonerato a dicembre con la squadra quasi in zona retrocessione. Subentrerà Hiddink a traghettarla fino a un decimo, anonimo posto. L’annata 2015-2016, e le due seguenti dove il Chelsea pur risorgerà sotto le rigide direttive tattiche di Antonio Conte, sembrano spegnere l’estro di Fabregas, che vede via via ridursi minuti a disposizione e raggio d’azione in campo. Del 2016 è la sua ultima presenza in nazionale, contro l’Italia negli ottavi di Europei. Finì 2-0 per gli azzurri.
A conferma del suo rapporto complicato con l’Italia ci saranno i sei mesi con Sarri. Per l’allenatore toscano, un utilizzo dello spagnolo come trequartista è impensabile, mentre a centrocampo è solo uno che può rientrare nelle rotazioni. I punti fermi sono Jorginho e Kante. Fabregas deve giocarsi il posto con Berkley, Loftus-Cheek e Kovacic. Ancora, la centralità di Cesc è svanita. Allora a gennaio cambia aria, passando al Monaco.
Un ridimensionamento importante per il giocatore, ora 34enne. Fabregas è alla sua terza stagione nel principato, ma il Monaco non è più quello della premiata ditta Jardim. In Francia era arrivato a sostenere il suo ex compagno di squadra Henry, allenatore dei monegaschi subentrato al portoghese. Faranno solo due partite insieme, prima dell’esonero di Titì.