(Photo credit should read DAMIEN MEYER/AFP via Getty Images)
Il 17 febbraio 1982, a Rio de Janeiro, nasce Adriano Leite Ribeiro, meglio noto come Adriano, ribattezzato in Italia l’Imperatore. Cresciuto nel Flamengo, arriva in Italia giovanissimo, a poco più di 19 anni, nel 2001. Sconosciuto ai più, imponente, veloce, potente, si presenta ai tifosi dell’Inter con una doppietta estiva al Real Madrid da stropicciarsi gli occhi. In quell’Inter, dove gioca ancora Ronaldo, però, non c’è posto, e Adriano verrà spedito a farsi le ossa alla Fiorentina. A Firenze, il brasiliano segna 6 reti in sei mesi, e alla fine della stagione l’Inter lo cede in comproprietà al Parma, dove resta un anno e mezzo. Frenato dagli infortuni, e da un carattere indolente, con i ducali salta diverse partite, ma quando gioca, è devastante.
Nel gennaio 2004 l’Inter decide finalmente di riportarlo a Milano. Qui, Adriano gioca fino al 2008, vincendo tre campionati. Con l’arrivo di Ibrahimovic e Crespo, però, gli spazi si riducono, e nel gennaio del 2008 va in prestito al San Paolo, dove sembra ritrovare continuità e gioia di giocare. Dal 2004, l’anno in cui perde il padre, per il brasiliano inizia, ancora giovanissimo, una lunga eclissi. Che, in effetti, ne accompagnerà l’intera carriera, almeno fino al 2012, quando, dopo un lungo girovagare tra Italia e Brasile, è chiaro a tutti che sia ormai diventato un ex calciatore.
Come ammetterà lui stesso, l’alcol ne condizionerà prestazioni ed impegno, mettendo spesso e volentieri il suo club nelle condizioni di doverlo coprire. Ai tempi dell’Inter, gli infortuni di Adriano non sempre erano tali, e la fine dell’avventura in nerazzurro è paradigmatica. Volato in Brasile per rispondere alla convocazione della Nazionale, nell’aprile del 2009, non torna più a Milano, rendendosi irreperibile per giorni. La famosa goccia che fa traboccare il vaso: rescissione consensuale e addio Italia. Dove farà ritorno, alla Roma, l’anno successivo, per una parentesi del tutto dimenticabile.
Ormai fuori forma e fuori controllo, prova tante volte a rimettersi in carreggiata, ma senza successo. Alle spalle, l’impressione di uno dei più grandi talenti della sua generazione, e un bagaglio di aspettative e speranze troppo pesante per un ragazzone fragile. Che in Nazionale, tra il 2003 e il 2010, segna 27 reti in 48 presenze, giocando un Mondiale, nel 2006, e vincendo una Coppa America, da protagonista assoluto e capocannoniere, nel 2004.