Il Napoli vince contro la Samp nell’ultima sfida di questo campionato, dando così il via ai festeggiamenti tricolore, di seguito l’Editoriale per Calcio in Pillole.
Napoli e Sampdoria si congeda i da questo campionato con percezioni sul futuro, e su quel che è stato, che mai potrebbero essere più agli antipodi. Una gara che è passerella per gli azzurri e ultimo moto d’orgoglio per i doriani.
Il match è, come preventivabile, un monologo dei partenopei. Qualità e fluidità di fraseggio che giovano di una comprensibile scioltezza. Tocchi di prima, triangoli e scambi rapidi conducono gli uomini di Spalletti a corridoi raramente esplorati. La Samp non disdegna di ricercare il più classico dei colpi da contropiede, pagando però di imprecisione.
Nel secondo tempo c’è maggiore libertà dagli usuali spartiti e, di conseguenza, maggiore improvvisazione nella manovra di casa. Non ne risente il predominio territoriale del Napoli, che gestisce con tranquillità palla ed avversario. Predominio che poteva concretizzazione nella freddezza, ritrovata, del capocannoniere principe del campionato. Osimhen sale a quota 26, ed a 31 in 38 partite. Numeri del predatore.
La Samp subisce un colpo che, al netto dei numeri, probabilmente la punisce in modo eccessivo. Sino a quel momento i blucerchiati avevano denotato un buon impatto con la gara, mentale e fisico, e senza rischiare troppo. Il gol ha però l’effetto di stappare il match, con buona pace della suddetta tenuta doriana.
Cominci a un assedio nella bolgia di calore e colore (azzurro) del Maradona. La fame insaziabile del vincitore che conduce i partenopei alla ricerca di una gioia che non vuole avere fine. La foga gioca brutti scherzi a Gaetano, ma guida il missile di Simeone dritto all’incrocio dei pali. Un gol straordinario, l’ennesimo del Cholito, che fiero mostra quella maglia ai 60000 del Maradona, appunto.
Romanticismo che solo il calcio sa regalare, e che accompagna Fabio nel tripudio caldo di casa sua. Duecentodue gol, passioni, rispetto e amore per la maglia. Fabio meritava l’addio a quel mondo a cui ha saputo solo regalare nel teatro di una terra che ha sempre amato. Come un film, ma è ‘solo’ calcio.
Un sistema societario che mai è stato sistema. Una società che mai è stata società. Una dirigenza che persisteva nel dolo di una mano di Giuda che, scientemente e colpevolmente, accompagnava un popolo mai domo d’amore verso il baratro del buio più totale. Ostaggio di un ricatto che minacciava persino di ridimensionare la catastrofe. La Sampdoria si congeda da questo campionato con la sensazione d’aver subìto un furto: quello della propria passione.
Sul campo non poteva che consumarsi il dramma sportivo in senso lato. Il prato non poteva accogliere più che guerrieri inermi, che inesorabili raccoglievano le macerie di una consapevolezza amara. Non si negano le responsabilità di chi era chiamato a calpestare il prato. I blucerchiati legittimano l’ultima posizione con il trend peggiore in tutte le statistiche, e con il cruccio di chiudere a otto lunghezze dalla neopromossa Cremonese. Troppo, forse. Tuttavia, ci sarebbe piaciuto vedere una squadra potersela giocare in linea con le esigenze della massima serie. Si ripartirà, dunque, da un purgatorio che sarà sicuramente breve. Ad Maiora Samp, arrivederci al 2024.
Si chiude un cerchio a trentatré giri. Trentatré primavere, tra atroci delusioni e rammarichi d’incompiutezza. Un viaggio lunghissimo, dal tetto del Mondo al gradino più basso del calcio nostrano. Il lavoro, la competenza, il progetto e la pazienza. I talenti che vanno e vengono, i campioni immortali ed i traditori. Un passo alla volta il Napoli si avvicinava ad un capitolo nuovo della propria storia: l’immortalità di chi non ti aspetti. Tra lo scetticismo, le contestazioni ed i malumori Spalletti e i suoi uomini hanno costruito il preludio di un successo che porta il Vesuvio, nuovamente, su quel tetto.
Una stagione mai sotto la soglia dell’imperfettibile. Nove mesi di calcio vero, di scoperta di chi giungeva nell’ignota certezza e di vittorie. Vincere e convincere, nell’accezione più bella possibile del calcio. Questo è stato il Napoli di questi nove mesi che, siamo sicuri, i tifosi azzurri non avrebbero voluto che finissero mai. Da lassù si sta bene. Dal gradino, stavolta, più alto, per tornare a volgere per la terza volta la Coppa al cielo.