L’epopea di Spagna ’82 che rese grande Pablito
Nella carriera di Paolo Rossi e nella storia del calcio italiano c’è un momento spartiacque ben definito, che si concretizza in Spagna e porta la data del 5 luglio 1982. Un giorno che legherà indissolubilmente la storia di Pablito a quella dell’Italia del pallone.
Prima di Spagna ’82
L’arrivo della nazionale tricolore ai campionati del mondo in terra iberica non potrebbe arrivare più in sordina. Intorno al gruppo azzurro e al calcio nostrano aleggiano ombre scure dopo risultati non esaltanti e gli spettri dello scandalo legato alle scommesse sulle partite di due anni prima.
A stemperare le tensioni non aiutano le decisioni del CT friulano, che ha le idee chiare quando si tratta di scegliere uomini a cui affidarsi. In attacco dentro il giovane Selvaggi e soprattutto lui, Paolo Rossi, con il sacrificio di Roberto Pruzzo, capocannoniere del campionato appena concluso.
I tifosi mal digeriscono le scelte tecniche, con Bearzot che arriva addirittura a prendere a schiaffi una ventenne che lo aveva insultato per strada, arrabbiata per le convocazioni.
Falsa partenza
L’inizio dell’avventura spagnola per la selezione azzurra ha poco sapore e le stimmate di un incubo. Nelle prime tre partite arrivano tre stentati pareggi con Polonia, Perù e Camerun. Pablito non accenna ad ingranare, ed il secondo girone con Argentina e Brasile sembra destinato a congedare in maniera brutale la Nazionale dal sogno iridato.
Con l’Argentina scatta però qualcosa, e l’Italia si riscopre capace di domare i grandi: Gentile è monumentale su Maradona, sfoderando una prestazione difensiva di impeto e pazienza. Solo un ingranaggio ancora non gira: Rossi non vuole sbloccarsi, e spreca ottime occasioni.
5 luglio 1982: la rinascita di Pablito
Con il Brasile di Zico, Cerezo, Socrates e Falcao si può solo vincere. Ma la nazionale verdeoro dei campioni trova nel suo cammino uno dei più grandi antagonisti della sua storia. Bastano cinque minuti al ragazzo di Prato per riaccendersi ed iniziare ad incidere il suo nome nella leggenda.
Prima il colpo di testa sul cross di Cabrini, poi il recupero su un pallone in ripartenza dei brasiliani che scaraventa in rete a tu per tu con Waldir Peres. Il Brasile riesce entrambe le volte a riacciuffare il risultato, ma al 74′ è ancora Pablito ad incendiare Barcellona e l’Italia intera con la deviazione vincente che vale la tripletta personale, “offesa” mai più riuscita a nessun altro contro i verdeoro.
Leo Junior, in difesa quel giorno, racconta glaciale il giorno di grazia di Pablito. “Contro l’Italia avremmo potuto anche fare il 3-3 se non fosse stato per Zoff, ma sicuramente Rossi avrebbe poi trovato il modo di farne un quarto“.
Da quel giorno parte anche un filo, meramente anagrafico, che legherà il trionfo spagnolo a quello di Berlino 2006. In quelle stesse ore in Italia, precisamente a Biella, nasce infatti un bambino di nome Alberto Gilardino. Ventiquattro anni più tardi farà parte della successiva spedizione iridata vittoriosa targata Italia.
Pablito e l’Italia alla conquista del mondo
Da lì in poi Rossi è inarrestabile e tutto sembra iniziare a girare a favore degli Azzurri. Pablito si fa trovare sempre dove serve per metterla dentro, e con una doppietta stende la Polonia nella semifinale del Camp Nou.
Al Bernabeu si va direttamente per la coppa e la gloria. In finale gli azzurri trovano la Germania Ovest, ma oramai gli uomini di Bearzot sono una forza della natura, e i tedeschi nulla possono all’uragano azzurro. È proprio Pablito a sbloccarla: arriveranno poi l’urlo di Tardelli e il sigillo di Altobelli. Pertini dagli spalti dice “Non ci prendono più”, e non rimane che il triplice fischio per entrare nella storia.
“Palla al centro per Muller, ferma Scirea, Bergomi, Gentile… È finita! Campioni del mondo, Campioni del mondo, Campioni del Mondo!“. La voce di Nando Martellini esce dallo stadio di Madrid ed entra in milioni di case italiane.
Rossi quell’anno diventa il primo (e l’unico al momento) italiano nella storia a vincere la Coppa del Mondo, il titolo di capocannoniere della competizione e il Pallone d’Oro.
Per tutti gli amanti del calcio italiani Spagna ’82 è uno dei più luminosi motivi per essergli grati e ricordarlo per il grande campione che è stato.
Un uomo capace di ricordare a tutti che con la forza di volontà e la perseveranza si possono trascendere le doti tecniche e raggiungere traguardi immensi, come immenso è il vuoto lasciato nel calcio italiano dalla sua scomparsa. Anche per chi, come chi scrive, non ha avuto modo di vederlo giocare, ma dai ricordi e i racconti di parenti e addetti ai lavori ha avuto modo di coglierne lo spessore sportivo e umano.