Le maglie della storia del Calcio – Vicenza 1998
Brivio, Belotti, Mendez, Dicara, Viviani, Schenardi, Di Carlo, Ambrosini, Ambrosetti, Zauli, Luiso.
Se per caso vi trovaste a passare dalle parti di Vicenza e provaste a snocciolare questo undici a mo’ di filastrocca, statene certi, anche al più giovane tifoso biancorosso luccicherebbero gli occhi dall’emozione.
Già, perché vi sono momenti, istantanee, flash nelle storie sportive di ogni amante del pallone destinate a rimanere impresse per sempre, anche se per mere questioni anagrafiche non hai avuto la fortuna di viverle in prima persona.
Inevitabile, poi, cristallizzare insieme agli eventi anche gli uomini che hanno reso possibile ciò che sulla carta era inimmaginabile.
E’ un curriculum di tutto rispetto quello del Vicenza, caratterizzato da venti partecipazioni consecutive nella massima serie, a cavallo tra la metà degli anni ’50 e la metà degli anni ’70, raggiungendo l’apice con il secondo posto ottenuto nella stagione di grazia 1978-79.
Il terreno del Romeo Menti ha visto protagonisti, nel corso degli anni, artisti del calibro di Paolo Rossi e di un giovanissimo Roberto Baggio, materiale per palati finissimi.
Dopo circa quindici anni di oblio, facendo la spola tra la B e la C, i biancorossi si riaffacciano nel calcio che conta. In panchina siede Francesco Guidolin, al suo secondo tentativo nell’allora campionato più bello del mondo, dopo la bruciante esperienza all’Atalanta.
Due ottimi campionati conclusi con un nono ed un ottavo posto. L’inizio di un sogno rappresentato dal trionfo, contro ogni pronostico, in Coppa Italia nel 1997 ai danni del Napoli di Gigi Simoni.
La Coppa delle Coppe 1997-98 affida, dunque, al Vicenza il compito di tenere alto il tricolore italiano.
I biancorossi, sulla carta, sono tra le vittime sacrificali del torneo che vede sfidarsi le vincitrici delle coppe nazionali, facile preda di squadre blasonate e abituate a certi palcoscenici come Stella Rossa, Chelsea, Aek, Slavia Praga.
Sul finire degli anni ’80 il buon Trap predicava la filosofia del “Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco” e l’aforisma non poteva rappresentare un dettaglio qualunque per chi, come il Vicenza, ha nel “Micio” la propria mascotte.
Aiutata da una campagna acquisti estiva massiccia, che porterà in Veneto giocatori quali “il Toro di Sora” Pasquale Luiso, “il Principe” Lamberto Zauli ed i giovanissimi Francesco Coco, Massimo Ambrosini e Roberto Baronio, il Vicenza affronta da vera protagonista la competizione europea.
I biancorossi eliminano in ordine Legia Varsavia, Shaktar Donetsk e gli olandesi del Roda Kerkrade. Le statistiche parlano chiaro, il Vicenza è un rullo compressore, 15 gol fatti, solo 4 subiti, 4 vittorie e due pareggi.
Zauli illumina con le sue giocate, permettendo a Luiso di concentrarsi su quello che sa fare meglio, segnare a raffica. Centrocampo folto con il capitano Di Carlo a fare da frangiflutti, gli inserimenti di Ambrosini e il lavoro instancabile sulle fasce di Ambrosetti e Schenardi.
A difendere la porta di Brivio tre marcatori puri come Belotti, Dicara e l’uruguagio Gustavo Mendez
L’entusiasmo è alle stelle, i ragazzi di Guidolin si trovano catapultati in una dimensione che fino ad allora avevano solo sognato intensamente o, al massimo, ammirato seduti davanti la Tv.
Vincere aiuta a vincere e il Vicenza si presenta davanti al proprio pubblico e di fronte la Storia, con l’incoscienza e la spavalderia dei debuttanti, celando un fisiologico timore reverenziale verso la grandezza delle pagine che si stanno scrivendo più che per i rivali sul campo.
Il 2 aprile del 1998 i biancorossi affrontano al Romeo Menti, nella semifinale d’andata, l’ItalChelsea dell’allenatore-giocatore Gianluca Vialli, di “Magic Box” Gianfranco Zola e di Roberto Di Matteo.
Il Vicenza, al contrario, quasi per un imprevedibile scherzo del destino, nell’estate del 1997 era divenuta la prima società italiana di proprietà straniera, acquisita dalla misteriosa finanziaria inglese ENIC.
Una pioggia torrenziale si abbatte sulla città berica alla vigilia del big match. Guidolin in conferenza stampa proverà a stemperare la tensione palpabile sul suo volto, affermando che “Il Chelsea è talmente più potente di noi che ha trasportato qui il tempo inglese”. I pronostici non lasciano scampo ai biancorossi, troppo ampio il divario con la squadra londinese.
Eppure, una volta dato il via alle ostilità, il Vicenza diventa assoluto protagonista dell’incontro, cancellando letteralmente dal campo il Chelsea.
Un dominio assoluto, culminato con il gran gol di Zauli che arpiona un lancio di Viviani e, con uno slalom destro-sinistro degno del miglior Ingmar Stenmark, nasconde prima il pallone ai difensori londinesi per poi depositarlo sul secondo palo con un tocco sporco ma fulmineo.
Il Vicenza continua a macinare gioco e occasioni, divorandosi tre clamorose palle gol.
L’incontro termina 1-0. La vittoria assume una dimensione quasi striminzita, tenuto conto della mole di gioco, ed è lo specchio del rango oramai assunto dai biancorossi in campo europeo.
Tutto lo stadio è in piedi ad applaudire “I leoni del Menti”. Anche il celebre pilone presente nel bel mezzo della Tribuna “Distinti”, divenuto famoso grazie a Fabio Fazio e a “Quelli che il Calcio”, sembra gioire ed esultare insieme al pubblico.
Il Vicenza, anche se solo per una stagione, è incredibilmente nel gotha dell’Europa.
Il capitano Mimmo Di Carlo, quasi profetico, dirà di non aver voluto scambiare la maglia con nessun giocatore del Chelsea. “Non l’ho voluta. Me la prendo al ritorno, quando potremo festeggiare davvero, adesso abbiamo vinto solo il primo tempo”.
Il capitano dei biancorossi, tuttavia, non avrà l’occasione per completare lo scambio con i suoi colleghi Blues.
Il Vicenza soccomberà allo Stamford Bridge sotto i colpi di un destino beffardo che permetterà a Luiso di portare addirittura in vantaggio il “Micio”, ipotecando per 76 lunghi minuti la finale.
Un rinvio balordo di De Goey, accompagnato da un’esitazione fatale della retroguardia vicentina, permetterà a Mark Hughes di fissare il risultato sul 3-1, portando in finale il Chelsea che si aggiudicherà, qualche settimana dopo, la Coppa.
L’occasione finale capitata sulla testa del “Toro di Sora” fa comprendere che lottare contro il destino è una sfida impari. Luiso viene anticipato per un soffio dal portiere dei Blues finendo lui in rete, con la palla ad un passo dalla linea di porta.
Chi lo ha detto che gli unici undici ad essere “fotografati” negli annali sono quelli vincenti?
Ne è esempio lampante il Vicenza arrivato ad un passo dalla gloria e punito dalla sua stessa essenza, quella di trapattoniana memoria:
“Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”.