Le Maglie della storia del calcio – Porto 2004
Chiudere il cerchio
Nella psicologia moderna rappresenta un concetto tanto elementare quanto importante. Indica la necessità di voltare pagina ed aprirsi a nuove esperienze.
Significa aver toccato la vetta ed arrestare l’inevitabile e dolorosa discesa. Un processo di crescita che ciclicamente si frappone davanti alle vite di ognuno di noi.
L’enorme puzzle del mondo del calcio è composto da una miriade di questi cicli.
Lassi temporali cristallizzati nella storia, pronti ad esaurirsi in un lampo, trascinando con loro il dolce amaro dei bei ricordi e della nostalgia per il presente sfuggito.
Spesso questi cicli si concludono in apoteosi. La sublimazione della rincorsa verso la stella cometa. L’impressione che la vera felicità, la vera adrenalina attraversi le vene nel corso del viaggio. L’arrivo è spesso un dettaglio, importante sì ma pur sempre un dettaglio.
La favola del Futebol Clube do Porto racconta tutto questo
Una nobile del calcio portoghese e continentale. Primo club ad aver centrato il triplete europeo (Coppa dei Campioni, Coppa Intercontinentale e Supercoppa Europea) nel 1987.
Seconda squadra più titolata in ambito nazionale, dietro solamente agli acerrimi rivali del Benfica, prima portoghese in assoluto per trofei internazionali.
Verrebbe da dire che nella “Città dei Ponti” i tifosi dragoes siano piuttosto abituati all’apertura ed alla chiusura di questi cicli.
La stagione 2003-2004, però, a posteriori, sarà costellata da una serie di segni premonitori che porteranno a pensare, in momenti diversi, che la buona stella avrebbe accompagnato il cammino della squadra portoghese.
Il Porto si presenta ai nastri di partenza fresco vincitore del Campionato e della Coppa Uefa.
In Europa i lusitani si impongono sugli scozzesi del Celtic Glasgow, dopo una sfida al cardiopalma terminata 2-3 ai tempi supplementari.
La squadra ha un’età media non propriamente verde, imbottita di talenti portoghesi come Deco, Carvalho e Maniche, mai esplosi del tutto ed alla loro ultima occasione per tentare il salto in una big mondiale.
Ad affiancarli due vecchi bucanieri del rettangolo di gioco come Vitor Baia e Sergio Conceicao, desiderosi di far ascoltare al mondo i loro ultimi acuti dopo le non brillanti esperienze a Barcellona e a Milano.
Di lì a pochi mesi la terra lusitana sarà teatro dei Campionati Europei di Calcio, uno sprone per far emergere sempre di più il futbol portoghese.
Sulla panchina dei Brancos siede Josè Mourinho da Setubal. Figlio d’arte, suo padre Felix Mourinho è stato portiere ed allenatore di squadre minori portoghesi.
Josè ha iniziato, invece, affiancando Sir Bobby Robson allo Sporting Lisbona, in qualità di assistente traduttore.
Un apprendistato veloce che lo porta, in poco tempo, a diventare vice dell’allenatore inglese ed a seguirlo proprio ad Oporto e, successivamente, a Barcellona.
Anche Mourinho, come gran parte dei suoi giocatori, si trova di fronte ad un bivio.
Restare nella sua comfort zone sulla panchina dei Dragoes o chiudere il cerchio portoghese per spiccare il volo?
La risposta è scontata.
L’uomo di Setubal è permeato dall’ambizione
La volontà è quella di stupire. Il luogo ideale per farlo è la Champions League.
Una prosecuzione naturale del percorso virtuoso intrapreso l’anno precedente in Coppa Uefa ed interrotto, solo temporaneamente, dalla sconfitta in Supercoppa Europea contro il Milan di Carlo Ancelotti e di Shevchenko.
Il sorteggio di Montecarlo non è dei più morbidi. Real Madrid, Olympique Marsiglia e Partizan di Belgrado sul cammino dei portoghesi.
La partenza dei ragazzi di Mourinho è da film horror. Pareggio risicato a Belgrado e sconfitta in casa con i blancos per 3-1.
Non sono più ammessi passi falsi.
La sfida di Marsiglia è già una sliding doors per il Porto.
Le luci stanno per spegnersi definitivamente quando i francesi passano in vantaggio con Didier Drogba, il principale artefice delle future fortune di Josè.
Sull’orlo del cornicione, ad un passo dal baratro, i dragoes piazzano un uno-due micidiale, aggrappandosi con le unghie e con i denti al treno della qualificazione.
Una vecchia conoscenza del calcio italiano, il russo Alenicev, chiuderà il match dando un po’ di ossigeno ai lusitani.
Le due successive vittorie, a danno dei transalpini e del Partizan di Belgrado, permetteranno al Porto di ipotecare la qualificazione.
I ragazzi di Mourinho avranno persino il lusso di giocare senza pensieri al Bernabeu, rimanendo imbattuti nel tempio dei madridisti.
La doppia sfida agli ottavi di finale contro il Manchester United non è consigliata ai deboli di cuore.
L’andata in Portogallo termina, al di là di ogni più roseo pronostico, con il segno 1 in schedina.
Il 2-1 avuto in dote, tuttavia, è un risultato da prendere con le molle. Un gol subìto e si torna a casa.
Puntuale, come la rata di un mutuo, il gol arriva nella prima mezz’ora della sfida del ritorno.
Paul Scholes per 60 interminabili minuti accompagna, mano nella mano, i Red Devils ai quarti di finale.
I brancos sono con la mente sull’aereo che li riaccompagnerà ad Oporto.
Improvvisamente, dal cielo, piomba una punizione dal limite a favore dei portoghesi.
Mancano pochi secondi ai minuti di recupero. McCarthy si gioca la carta della disperazione.
Il tiro a giro sul secondo palo è molto lento e di semplice lettura per un portiere.
Nessuno dei ventidue in campo, però, ha fatto i conti con Howard che, dopo essersi schiantato sul legno, deposita il pallone sul vertice dell’area piccola.
Il supereroe della serata è Costinha, altro portoghese in cerca d’autore, che si fionda sulla sfera e la piazza sul palo più lontano.
1-1, l’Old Trafford è di ghiaccio, incredulo.
Mourinho entra nella storia correndo ad abbracciare i suoi ragazzi. Un enorme montagna blu e bianca nei pressi della bandierina del calcio d’angolo.
Ferguson impietrito, Josè incontenibile
Un incredibile gioco del destino, quasi a voler immortalare in uno scatto fotografico l’allora presente ed il futuro della panchina del Manchester United.
Spinti dall’adrenalina i dragoes disputano un quarto di finale implacabile contro il Lione.
Andata e ritorno sono una formalità.
Ad attenderli, in semifinale, la vera sorpresa del torneo, il Deportivo La Coruna che ha eliminato la Juventus ed i campioni in carica del Milan.
La doppia sfida è sporca, dura, estremamente tattica. Solo un episodio può sbloccare l’impasse.
Protagonista dell’evento che porterà i lusitani in finale è Pierluigi Collina. Deco si inserisce in area di rigore e viene steso ingenuamente da Cesar.
Derlei dal dischetto non sbaglia.
Dopo 17 anni il Porto è nuovamente in finale per giocarsi la Coppa dalle grandi orecchie.
Gli incastri casuali del tabellone hanno portato ad una finale insolita.
I francesi del Monaco arrivano a Gelsenkirchen con un curriculum di tutto rispetto, Chelsea e Real Madrid nel loro bottino di guerra.
Mourinho e i suoi ragazzi giungono in Germania con la consapevolezza di chi non vuole fermarsi sul più bello.
Sarà proprio questa consapevolezza a far vivere a Josè la finale in maniera serena, quasi distaccata, “Ho sempre detto che non mi sono agitato molto perché non mi sembrava una finale di Champions League, ma una partita molto calma e controllata.”
La lucidità del non ancora “Special One” sarà l’arma vincente, contrapposta alla sterilità offensiva del Monaco.
I francesi si catapultano in attacco, con mediocri risultati, prestando il fianco al contropiede letale dei lusitani.
La prima gemma, sul finire del primo tempo, è del brasiliano Carlos Alberto, il più lesto ad approfittare di un flipper in area monegasca e a depositare il pallone alle spalle di Roma.
Deco va a nozze con le praterie generosamente concesse dai ragazzi di Deschamps, mettendo in cassaforte il risultato. Interno destro a spiazzare l’intera retroguardia del Monaco.
A far esplodere di gioia i tifosi brancos è lo stesso uomo che ha reso possibile l’approdo agli ottavi di finale, blindando la vittoria di Marsiglia ai gironi.
Lo stesso Alenicev che, con poca fortuna, ha indossato le casacche di Roma e Perugia.
3-0 senza appello.
Ogni tassello torna al proprio posto.
Vitor Baia coronerà la sua carriera ricevendo il titolo di miglior portiere della Champions League.
I talenti portoghesi, fino ad allora in cerca di una dimensione consona alla loro classe, sfonderanno nel calcio che conta, tra Barcellona, Real Madrid e Chelsea, divenendo simboli di un decennio calcistico.
Il Porto trionferà ancora in ambito internazionale, vincendo l’Europa League del 2011, confermandosi club di nobile lignaggio calcistico.
Josè da Setubal diventerà per tutto il mondo lo Special One.
Entrerà nel gotha del calcio con le sue vittorie, i suoi trofei, le sue irresistibili provocazioni e la sua infinita passione, scrivendo la parola fine sul suo personalissimo ciclo in patria:
“Se avessi voluto un lavoro facile sarei rimasto al Porto: una bella sedia blu, una Champions League, Dio, e dopo Dio, io.”
Il cerchio si è finalmente chiuso.
Nel miglior modo possibile, quello che solo i grandi profeti riescono a disegnare.
Ripartire, andare oltre, osare. Per riposare c’è sempre tempo.