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Le maglie della storia del calcio – Napoli 1989

Provate a digitare su Youtube le seguenti parole “Maradona, ballo, riscaldamento”.

Vi apparirà un filmato che conta più di 7 milioni di visualizzazioni e che ritrae El Pibe de Oro durante il riscaldamento della semifinale di ritorno della Coppa Uefa 1989, all’Olympiastadion di Monaco di Baviera contro il Bayern Monaco.

Immedesimatevi, per un momento, nel contesto dell’epoca.

Il Napoli, di lì a pochi minuti, si giocherà l’accesso ad una finale europea.

I volti dei protagonisti del match hanno tutti una caratteristica che li accomuna, sono segnati, quasi sfigurati, dalla tensione per quello che sarà.

Tutti, tranne uno. Diego Maradona.

(Photo by Simon Bruty/Allsport/Getty Images)

Il 10 partenopeo si guarda attorno e sembra non capire il perché di quella strana atmosfera, di quegli improvvisi silenzi, degli sguardi tirati dei suoi compagni.

D’altronde la sfida d’andata, giocata due settimane prima al San Paolo, ha sentenziato una vittoria netta, pur soffrendo, per gli uomini di Ottavio Bianchi.

Si parte dal 2-0, non un bottino da poco. Eppure Diego vede solo ansia e stress intorno a sé.

All’improvviso l’altoparlante dell’impianto di Monaco di Baviera lancia la hit dell’estate del 1985.

Live is life degli austriaci Opus.  Il brano è molto ritmato e si presta facilmente alla cadenza degli esercizi del warm up.

Il genio è fantasia, colpo d’occhio, velocità d’esecuzione.

Maradona comprende che serve un suo guizzo al di fuori dei 90 minuti di gioco.

Un colpo estroso, istintivo, efficace, che riporti la serenità ed il divertimento tra i partenopei.

Non ci pensa due volte.

Comincia a roteare il bacino andando a tempo con il riff della chitarra, seguono palleggi in serie, destro, sinistro, testa, stop.

Una meravigliosa danza con il pallone, quella a cui sono abituati i tifosi azzurri ogni domenica.

Vivere è vita.

Vivere certi momenti è un privilegio che pochi sportivi possono vantare nel loro curriculum.

Lo capiscono anche i compagni di Diego che, scrollatesi di dosso le paure, strappano l’accesso alla finale trascinati da un super Careca, autore di una doppietta nel 2-2 finale.

Sparring partner dell’epilogo è lo Stoccarda guidato dal “Bombardiere” olandese Arie Haan e trascinato dalla “Pantegana Bionda” Jurgen Klinsmann e dal “Napoletano” Maurizio Gaudino, passaporto tedesco, sangue campano.

L’allenatore dei tedeschi è un ricordo amaro per il calcio italiano.

Una sua fucilata da 35 metri ci costò l’eliminazione dai Mondiali in Argentina del 1978, ad un passo dalla finale.

Il Napoli è avvisato.

Gli azzurri, tuttavia, non temono nessuno. Rispetto sì, paura mai.

Saranno anche dei neofiti in campo internazionale ma il percorso che li ha portati a 180 minuti dall’Olimpo è di tutto rispetto.

PAOK, Lokomotive Lipsia, Bordeaux.

L’eliminazione ai quarti della rivale numero uno, la Juventus, in una sfida per capitani coraggiosi decisa all’ultimo minuto degli extra times da un acuto di Renica.

Lo sprint decisivo di credere nei propri mezzi lo ha dato Diego da Lanus, il 10 per eccellenza.

Ha fatto capire agli azzurri di essersela meritata questa finale.

Nessuna reverenza, nessun complesso di inferiorità legato al blasone.

Live is life.

Quei pochi minuti all’Olympiastadion hanno cambiato il chip nella testa dei calciatori napoletani.

Si scende in campo per vincere e divertirsi. Semplice connubio quando tra le tue fila hai Maradona. 

Non un dettaglio se il resto della squadra è composta principalmente da gregari, eccezion fatta per Careca e Carnevale.

L’atmosfera per l’andata al San Paolo è elettrizzante. Tutto esaurito. Più di 80.000 spettatori a soffiare idealmente verso le vele spiegate del Napoli.

Le vele rischiano di ammainarsi dopo soli diciassette minuti.

Lo Stoccarda passa in vantaggio con un tiro da fuori di Gaudino, maldestramente respinto da Giuliani nella sua porta.

Lo stadio è ammutolito. Il divertimento lascia lo spazio alla paura. Le giocate degli azzurri non sono fluide.

Si va avanti più con i nervi che con il gioco.

Maradona, però, sa come si vive sul rettangolo verde. Può inventare tutto dal nulla.

Lo fa, puntualmente, al 23’ della ripresa quando controlla in area, in maniera poco ortodossa e regolamentare, un pallone scodellato da De Napoli.

Diego è chiuso da due difensori, defilato. Scocca la scintilla.

I suoi occhi puntano il braccio del numero 2 dello Stoccarda Schafer, i  suoi piedi indirizzano la sfera nel punto esatto in cui l’arbitro non può far altro che indicare il dischetto.

Rigore ineccepibile e pareggio realizzato dallo stesso Maradona.

Il San Paolo è una bolgia infernale.

L’1-1 serve a poco. Gli azzurri si gettano in avanti con pochi risultati.

Il 2-1 arriva quasi insperato, suggellato da uno scambio al volo in area tra Carnevale e Maradona, con quest’ultimo che dalla destra mette un assist al bacio per Careca che insacca alle spalle di Immel.

E’ l’88’ ed il Napoli vive il suo sogno.

Niente voli pindarici. C’è un ritorno da giocare. Vivere vuol dire anche saper frenare gli entusiasmi quando serve.

Il 17 maggio 1989 i partenopei si presentano al Neckarstadion di Stoccarda con i favori del pronostico.

Le gambe, tuttavia, tremano durante il riscaldamento.

Si tratta pur sempre della prima finale europea nella storia del club, del punto più alto toccato dalla gran parte degli undici che scendono in campo.

D’un tratto, in lontananza, giunge quell’inconfondibile chitarra ritmata del brano degli Opus.

Non è l’altoparlante dello stadio a diffonderla questa volta.

Maradona e la danza surreale del mese precedente hanno compiuto il miracolo.

Tramutare in meraviglioso cigno chi, per natura calcistica, aveva sempre ricoperto il ruolo di brutto anatroccolo.

Intendiamoci, sono tutti consci del dislivello tecnico esistente tra Diego ed il resto della squadra.

Aver la possibilità di dialogare con El Pibe de Oro ha, però, instillato nei suoi compagni la presunzione di non esser secondi a nessuno, se non a lui.

In campo è un autentico dominio azzurro.

Un Alemao tarantolato porta in vantaggio i partenopei dopo un affondo di 40 metri.

Lo Stoccarda non fa in tempo a pareggiare con l’incornata di Klinsmann che si ritrova di nuovo sotto.

I 160 cm di Diego riescono a fornire un incredibile assist di testa a Ciro Ferrara che scarica la sua tensione fulminando di destro il portiere tedesco.

Il ventiduenne, napoletano verace, è incontenibile, corre senza meta, piangendo.

Il 3-1 di Careca sublima la festa del popolo azzurro travolto da un’emozione mozzafiato.

“Rambo” De Napoli sarà protagonista, suo malgrado, delle battute finali del match.

1989: De Napoli (right) of Napoli moves in for a tackle during the UEFA Cup Semi-Final Second Leg match against Bayern Munich in Naples, Italy. Napoli won 4-2 on aggregate. Mandatory Credit: Ben Radford/Allsport

Prima deviando nella sua porta un tiro senza pretese di Gaudino.

Poi con un retropassaggio cervellotico verso Giuliani, favorendo lo stacco di testa di Schmaler.

3-3 finale. Il Napoli ha imparato a vivere. La Coppa Uefa si tinge d’azzurro.

Diego è pazzo di gioia per i napoletani, la sua gente. Lo dimostrerà tributando la vittoria ad un ragazzo di quella gente, il giovane Ciro Ferrara.

De Napoli, ironicamente, affermerà di aver volutamente fatto pareggiare lo Stoccarda per mitigare la loro delusione.

Il pensiero del Presidente Ferlaino, al fischio finale, andrà a tutti i tifosi partenopei rimasti a Napoli, pronti finalmente ad esplodere in un’esultanza ricca di tanti significati, non solo sportivi.

In quella serata primaverile bavarese, durante il riscaldamento, Diego aveva visto in anteprima il finale di questa bellissima favola.

Del resto non poteva sbagliarsi, scrivere la storia del calcio è vita. Viverla è ancora meglio.

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Published by
Antonio Borsellino