Le maglie della storia del calcio – Milan 1989
Il mondo del calcio è un regno pieno zeppo di stereotipi, luoghi comuni, figure retoriche impregnate di un’aura di sacralità.
Un recinto fatto di leggi non scritte, di dinamiche che sfuggono ai più, di scaramanzie assurte al rango di stregonerie.
La chiusura verso l’esterno è ermetica, a doppia mandata.
Chi ne entra a far parte viene sottoposto ad un rito di iniziazione, di uniformazione, di lenta adesione a codici immanenti.
“Il calcio è un gioco maschio”, “Gol sbagliato, gol subìto”, “vince chi prende pochi gol”, “quello che succede in campo rimane in campo”, espressioni routinarie, utilizzate come anatemi verso gli agnostici del pensiero pallonaro.
Esistono, poi, delle persone che guardano il mondo attraverso le proprie idee.
Convinti a tal punto della bontà del loro pensiero da trovare l’arroganza e la sfacciataggine di contestare platealmente i dogmi.
Come Gene Wilder in “Frankestein Junior”, agitano le loro allucinazioni all’urlo di
“SI-PUO’-FARE!”
Chissà qual è stato il momento esatto in cui il Milan e Silvio Berlusconi hanno regalato al cielo queste parole.
In quale preciso istante è esplosa la rivoluzione concettuale che ha dato il là ad un’epoca d’oro, con trionfi internazionali marchiati dal nostro tricolore?
Vi sono pochi dubbi, la sera del 19 aprile 1989.
L’anno in cui i Kaoma movimenteranno l’estate con la loro “Lambada”, in cui il democristiano Ciriaco De Mita si troverà catapultato al governo e Robin Williams donerà al mondo una meravigliosa interpretazione ne “L’attimo fuggente”.
Arrigo Sacchi, il Profeta di Fusignano, si trova a Milano, sponda rossonera, da un anno e mezzo.
Accolto nello scetticismo generale per i suoi poco nobili trascorsi calcistici, è riuscito, pronti via, dopo nove anni di laceranti sofferenze condite dalla doppia umiliazione della B, a riportare lo scudetto sul versante casciavit del Naviglio.
Le sue convinzioni vengono giudicate ai limiti dell’eretico da chi aveva reso il football, fino ad allora, una scienza esatta.
4-4-2, difesa in linea, abbandono della marcatura a uomo a favore di quella a zona, tattica del fuorigioco esasperata, pressing a tutto campo.
Un autentico tornado capace di spazzare via tesi scolpite nella pietra.
La filosofia del “non prenderle” viene chiusa in un cassetto, il mantra si tramuta in “vincere e convincere”.
I nastri di partenza della Coppa Campioni, stagione di grazia 1988-1989, vedono un Milan con un’unica novità rappresentata dall’arrivo a Milanello di Frank Rijkaard, fresco campione d’europa con la nazionale olandese dei suoi compagni Gullit e Van Basten.
Il punteggio tennistico nel doppio confronto del primo turno contro i modesti bulgari del Vitosha Sofia illude i rossoneri circa l’abbordabilità del loro cammino in Europa.
La trappola, tuttavia, è dietro l’angolo.
Il bel giuoco alla milanese si trova ad esser quasi risucchiato nel vortice dell’eliminazione già al secondo turno, contro la Stella Rossa.
L’1-1 dell’andata al Meazza è un biglietto da visita molto pericoloso per il ritorno a Belgrado.
Lo vivono sulla propria pelle i rossoneri, che a 33 minuti dalla fine del match di ritorno, si ritrovano in svantaggio e con uomo in meno in seguito all’espulsione di Virdis.
Ipotizzare un sussulto d’orgoglio è impresa ardua anche per i più ottimisti.
Il motto di Arrigo, però, lascia poco spazio alle interpretazioni “och, pazienza e bus del c**”.
Così, in men che non si dica, su Belgrado piomba una fitta nebbia che costringe l’arbitro tedesco Pauli ad interrompere la partita.
Il regolamento è chiaro: il match verrà ripetuto, dall’inizio, il giorno seguente.
Per il Milan è un’autentica iniezione di adrenalina, per gli slavi l’esatto opposto.
Ruud Gullit, indisponibile la sera precedente, riesce miracolosamente a recuperare e ad esser presente nella formazione titolare.
Giovanni Galli farà il resto, rendendosi protagonista della lotteria dei rigori e portando i rossoneri ai quarti di finale contro i tedeschi del Werder Brema.
Liquidata la campagna di Germania con pochi patemi, Sacchi si ritrova in semifinale contro il peggior avversario europeo delle italiane negli anni ’80, il Real Madrid di Butragueno e Sanchez.
I blancos vantano una striscia di sei vittorie consecutive contro le squadre dello Stivale, tra il 1980-81 ed il 1987-88.
Bersaglio preferito l’Inter, eliminata per ben quattro volte, accompagnata da Juventus e Napoli.
Il copione è già scritto. A Madrid sono pronti ad aggiornare le statistiche e ad aggiungere anche il Milan tra le vittime sacrificali del Santiago Bernabeu.
Tuttavia, certe partite servono proprio ad invertire il corso della storia, a segnare un punto di non ritorno con il passato.
Una frattura insanabile con l’abitudine ad un esito noioso e scontato.
Dopo aver letteralmente dominato nella gara d’andata in Spagna, i rossoneri si ritrovano con un pugno di mosche in mano.
Troppe occasioni gettate al vento vengono tradotte in un misero pareggio, frutto delle reti di Hugo Sanchez e Marco Van Basten.
19 aprile 1989.
Arrigo Sacchi si accomoda sulla panchina di San Siro guardando il prato verde, i tifosi, i suoi ragazzi e gli avversari attraverso il coraggio delle proprie idee.
Il campo ha già emesso il suo verdetto in terra iberica. Il Milan non ha paura di nessuno.
Sul prato verde suona la sinfonia rossonera.
Guidati da “Kaiser Franz” Baresi i milanisti mandano in fuorigioco per ben 27 volte i blancos.
Un dato mostruoso
Il pressing asfissiante manda in tilt l’aristocrazia Real, il dominio sui palloni aerei ed il possesso palla, veloce ed in verticale, completeranno la serata perfetta.
Ad aprire le danze, quasi come un ponte ideale verso i successi futuri da allenatore rossonero, Carletto Ancelotti, schierato a sorpresa sulla fascia sinistra.
Tiro potente dalla trequarti, su assist di Gullit, a scavalcare il portiere Buyo.
Ruud e Rijkaard, poco dopo, utilizzeranno entrambi la testa e con un uno-due micidiale tramortiranno quel poco che resta del Real Madrid.
Nei primi dieci minuti del secondo tempo due staffilate firmate Van Basten e Donadoni staccheranno il biglietto aereo per Barcellona, destinazione FINALE, vent’ anni dopo.
Nessuna esagerazione.
Il Milan ha appena scritto una pagina meravigliosa e rivoluzionaria di calcio internazionale.
Lo si evince dal tono euforico e quasi commosso di Bruno Pizzul in telecronaca.
A renderlo tangibile è l’autorevole quotidiano francese l’Equipe che il giorno dopo titolerà in prima pagina “Fantastique Milan AC”.
Fusignano, per una notte, diventa la capitale del mondo calcistico.
Lo stesso mondo che aveva annusato Sacchi con diffidenza e un pizzico di fastidio.
Arrigo, adesso, non sfigura al cospetto del “Paron” Nereo Rocco, ultimo allenatore ad aver fatto vivere ai rossoneri notti europee di questo calibro.
Silvio Berlusconi, anticipando il leit motiv dei decenni successivi, affermerà “ho detto io a Sacchi e Ancelotti come fare.”
La finale di Barcellona contro i rumeni della Steaua Bucarest sarà una pura formalità.
La rivoluzione è già stata portata a termine il mese precedente nella bolgia di San Siro.
Il Milan sale sul trono d’Europa per la terza volta nella sua storia.
I supporters rossoneri non possono lontanamente immaginare di aver assistito alla detonazione dell’esplosivo che li porterà ad essere per lungo tempo il club più titolato al mondo.
Il 19 aprile 1989 verrà ricordato negli annali come la data di nascita di un nuovo modo di intendere il gioco del calcio, che ancora oggi vanta innumerevoli tentativi di imitazione come la Settimana Enigmistica.
Seguiranno, uno dopo l’altro, ben quattordici trofei internazionali per il Milan.
Venti anni di successi con un’origine chiara, netta, precisa. La notte del “SI-PUO’-FARE!”.
Rileggi il primo appuntamento de “Le maglie della storia del calcio”: Vicenza 1998