“Il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine la Germania vince”.
Parole e musica di Gary Lineker, indimenticato centravanti britannico.
Leggenda vuole che questa frase, divenuta iconica nel mondo del calcio, sia stata pronunciata al termine di una semifinale mondiale, quella disputata tra Inghilterra e Germania in Italia nel 1990.
Il bomber di Leicester era riuscito ad acciuffare il pareggio dopo il vantaggio iniziale del tedesco Brehme su punizione.
La cinica lotteria dei rigori avrebbe portato in finale, contro l’Argentina di Maradona, la squadra allenata dal Kaiser Franz Beckenbauer.
Ogni regola ha la sua eccezione
Un meraviglioso imprevisto che sconvolge, in rarissime occasioni, il corso degli eventi.
La scarica di adrenalina che per una frazione di secondo ti fa ritrovare le energie sepolte da qualche parte.
L’improvvisa follia che ti fa viaggiare al di sopra dei canoni.
Il 26 maggio 1999 è apparentemente una classica serata di inizio estate.
Il Camp Nou di Barcellona si appresta ad essere il teatro dei sogni dei campioni.
Di fronte due aristocratiche del calcio mondiale, Red Devils da una parte, Die Rote dall’altra.
Accomunate dai colori sociali e dalla latitanza, per interi decenni, dal trono continentale: trent’ anni per gli inglesi, poco più di venti per i bavaresi.
Anni luce per club di tale lignaggio.
E’ arrivato il momento di invertire la rotta, fuori i secondi.
La notte si colora di magia quando sul rettangolo verde fa capolino il soprano spagnolo Montserrat Caballè.
Un brivido lungo la schiena
La maestosità della voce femminile dal vivo sul terreno di gioco, quella dinamitarda del compianto Freddie Mercury sui megaschermi dell’impianto catalano.
Il capolavoro Barcelona riecheggia sulle Ramblas.
Non potrebbe esserci preludio migliore per lo spettacolo che si vedrà in campo.
Manchester United e Bayern Monaco sono arrivate quasi a braccetto all’epilogo.
Entrambe sono entrate in Champions League dalla porta secondaria dei preliminari.
Il destino ha voluto far giocar loro, per ben due volte, una sorta di finale anticipata nelle eliminatorie a gironi, ambedue nel gruppo D. Due pareggi.
I Red Devils giungono al Camp Nou dopo aver chiuso, con una notevole dose di fortuna, la “campagna italiana”.
Inter e Juventus eliminate una dietro l’altra.
Più semplice il percorso dei bavaresi che si aggiudicano il derby tedesco contro il Kaiserslautern, eliminando in semifinale la sorpresa del torneo, la Dinamo Kiev del giovane capocannoniere ucraino Andrij Shevchenko.
Due undici con un’età media non propriamente giovanissima.
Due leggende alla loro ultima vetrina internazionale, Peter Schmeichel e Lothar Matthaus.
Due vecchi volponi in panchina. Sir Alex Ferguson ed il tedesco più vincente di ogni epoca, Herr Ottmar Hitzfeld.
Il match è equilibrato anche nelle premesse.
La profezia di Gary Lineker si aggira, come un avvoltoio, sulle teste di Beckham e compagni.
L’inizio è disastroso per il Manchester United.
Dopo sei minuti Super Mario Basler centra l’angolino basso più lontano su calcio di punizione.
Schmeichel non è irreprensibile nella sistemazione della barriera, ancor meno reattivo nel tentare la parata.
Il colpo è tremebondo per i Red Devils.
I ragazzi di Ferguson si gettano in attacco in maniera sconclusionata, senza uno spartito ben definito. Per il Bayern è un gioco da ragazzi arginare le offensive avversarie.
Il canovaccio non muta nel secondo tempo. Inglesi perennemente nella metà campo dei bavaresi senza produrre occasioni degne di nota.
Tutt’altro. Il Manchester concede praterie invitanti.
La squadra tedesca va ad un passo dal raddoppio con due occasioni clamorose.
L’ex viola Effenberg colpisce l’incrocio dei pali con un pallonetto delizioso. Il colosso Jancker centra la traversa in rovesciata, all’altezza del dischetto del rigore.
Il duello è impari.
I Red Devils sono un pugile suonato, pronto a crollare al tappeto da un momento all’altro.
Ferguson ha già tentato la mossa della disperazione inserendo un vecchio bucaniere dell’area di rigore come Teddy Sheringham e The Baby-Faced Assassin, il norvegese Solskjaer.
Siamo oramai agli sgoccioli della finale. L’arbitro Collina ha già dato istruzioni sul recupero.
180 secondi separano il Bayern Monaco dal primo trionfo nella giovane Champions League.
Peter Schmeichel, più per dovere che per convinzione, si getta nella mischia dell’area di rigore su un calcio d’angolo.
Presumibilmente l’ultimo straccio di occasione per sperare di arrivare ai supplementari.
Il pallone ballonzola sopra le teste dei ventidue in campo.
Kuffour rinvia goffamente sui piedi di Ryan Giggs che, dal limite, cicca incredibilmente il tiro.
La traiettoria è incontrollabile.
Piomba come manna dal cielo sui piedi di Sheringham che ciabatta a sua volta la sfera, rendendola imprendibile per Kahn.
1-1. Matthaus è impietrito in panchina. Le teutoniche certezze si sono sbriciolate.
Un minuto ai tempi supplementari.
Il Manchester United pressa altissimo per impedire agli avversari di tentare un ultimo assalto, riuscendovi brillantemente.
Nuovo calcio d’angolo per i Red Devils.
La curva disegnata da Beckham è a rientrare.
L’impressione è quella di essere di fronte ad un’azione al rallentatore. Sheringham allunga di testa la palla sul secondo palo.
Dal groviglio di gambe emerge la punta del piede di Ole Gunnar Solskjaer.
Il soprannome cucitogli sulle spalle dai tifosi non può essere casuale. Lo spietato norvegese ha appena demolito i sogni di gloria tedeschi.
La Champions League imbocca la direzione d’Oltremanica.
I giornalisti presenti in tribuna devono riscrivere daccapo i pezzi da inoltrare in redazione.
Il Presidente dell’Uefa Johansson, entrato in ascensore a due minuti dalla fine per dirigersi verso la premiazione a bordo campo, confesserà la sua incredulità “Spuntai sul campo e rimasi confuso. Pensai: ‘Non è possibile, chi ha vinto sta piangendo e chi ha perso sta ballando’”.
Mai nella storia una finale europea ha visto trionfare la squadra dominata dall’inizio alla fine.
Una macchia rossa uniforme vaga senza meta sul prato verde in preda all’euforia.
I giocatori del Bayern Monaco sono distesi a terra con le mani sul volto. Non hanno mai vissuto un dramma simile.
Lineker insegna: i tedeschi sono sempre abituati a vincere nei 90 minuti.
Nei minuti di recupero, tuttavia, sono più forti gli inglesi.