“Today is gonna be the day that they’re gonna throw it back to you
By now, you should have somehow realised what you gotta do
I don’t believe that anybody feels the way I do about you now” (Wonderwall-Oasis)
1995. I fratelli Gallagher non possono lontanamente immaginare di aver composto, con ben diciassette anni d’anticipo, la colonna sonora dei 95 minuti e 40 secondi più pazzi della storia della Premier League.
Una montagna russa emozionale che ha per protagonista, ironia della sorte, la squadra del cuore di Noel e Liam, il Manchester City.
Una storia non semplice quella dei Citizens, vissuta per quarantaquattro, interminabili, anni all’ombra dei ben più noti e blasonati cugini dello United.
Difficile convivere all’interno delle stesse mura quando sulla sponda Reds si fa incetta di titoli nazionali ed internazionali, mentre tu devi lottare con le unghie e con i denti per rimanere nella massima serie, spesso invano.
Il Principe ed il Povero
Mark Twain ci ha fatto scoprire che i ruoli predefiniti che la vita ha riservato per noi possono, seppur per un breve periodo, invertirsi.
Il Karma, tuttavia, il più delle volte è immutabile.
Capita, dunque, che l’ultimo chilometro di una maratona condotta sin dall’inizio al comando sia il più complesso.
Accade che il protagonista di una cavalcata trionfale si trovi impietrito di fronte al significato della vittoria. La sua immagine maestosa a paralizzarti.
Si chiama paura di vincere.
Il crollo delle energie fisiche e mentali che conducono al fallimento del malcapitato di turno.
Una vera e propria fobia oggetto di numerosi studi da parte di branche nobilissime, come la psicologia.
Un fenomeno quasi inspiegabile nel mondo del calcio, che vanta vittime illustri nel suo carnet.
Un destino naturale per chi venera successi con immagini in bianco e nero.
Il 13 maggio del 2012 il Manchester City si presenta all’ultimo atto della Premier League dopo un percorso incredibile colorato da colpi di scena che lo hanno visto protagonista sia in positivo che in negativo.
Il congedo stagionale di fronte al proprio pubblico.
Con una sottile differenza rispetto alle annate precedenti.
Gli Sky Blues giocano per la vittoria finale.
Dipende tutto da loro
In panchina un professionista del brivido. Roberto Mancini ha vissuto da primattore momenti thrilling sia in campo che al di là della linea di fondo.
Due scudetti, con Lazio e Inter, raggiunti dopo tribolazioni al cardiopalma.
Giove Pluvio a farla da padrone in entrambe le occasioni. All’Etihad Stadium, però, splende il sole.
Il City sin dal prologo del torneo ha fatto udire alle concorrenti il rombo del proprio motore. El Kun Aguero è andato a rimpolpare una squadra di stelle.
David Silva, Mario Balotelli, Yaya Tourè, Jerome Boateng, Edin Dzeko, Carlitos Tevez.
Prestazioni da incorniciare.
5 gol rifilati al Tottenham al White Hart Lane. Un durissimo 6-1 inflitto a Sir Alex Ferguson, per di più all’Old Trafford.
Una fuga in vetta alla classifica iniziata, forse, troppo presto.
Una flessione in primavera che ripristinerà la tradizionale gerarchia tra le squadre di Manchester. La resurrezione finale. United e City appaiate in cima.
La differenza gol premia i ragazzi del Mancio in attesa dei fuochi d’artificio finali.
Sparring partner del match è il modesto Queens Park Rangers degli ex Mark Hughes e Joey Barton.
I londinesi non hanno più nulla da chiedere ad un campionato che li ha visti mantenere la categoria per il rotto della cuffia.
Gli addetti ai lavori si attendono una passerella per i Citizens.
4-2-3-1 super offensivo per i padroni di casa con il trio Silva, Nasri e Tevez alle spalle di Aguero.
L’avvio è tambureggiante per il City. Le occasioni si sprecano copiose.
La mira non è quella dei giorni migliori. Il fortino del QPR non cede sotto i colpi tremebondi delle bocche di fuoco celesti.
L’acuto vincente arriva dal tutt’altro che spettacolare Zabaleta.
Affondo sulla destra e colpo sporco dell’argentino a trafiggere un Kenny in versione “citofono”.
Sulle tribune la marea Blue Moon si gode un meritato relax. Giusto il tempo dell’intervallo.
La ripresa è avvolta da presagi sinistri per il Manchester City.
Dopo soli 3 minuti Lescott buca clamorosamente di testa un pallone di semplice lettura, lanciando involontariamente Cissè davanti a Joe Hart.
1-1. Il silenzio è irreale.
Aguero e compagni si fiondano nuovamente in attacco. Qualcosa, tuttavia, non va. Il freno a mano è tirato. L’ansia da prestazione ha il sopravvento.
L’estremo difensore del QPR salva miracolosamente sulla linea di porta un flipper creatosi nell’area piccola. Le conclusioni dei Citizens terminano tutte fuori d’un soffio.
L’espulsione di Joey Barton è manna dal cielo, ma la sfera non ne vuol sapere di terminare la corsa in rete.
Al 66’ l’incubo si concretizza nitidamente. Il City lascia enormi praterie dietro di sé.
Traore ne approfitta sfondando sulla fascia sinistra e pennellando un cross sul secondo palo. Lo scozzese Mackie è incredibilmente libero, un gioco da ragazzi prendere in contro tempo l’incolpevole Hart.
Le statistiche sono impietose. I londinesi sono in vantaggio dopo essersi affacciati nell’area avversaria in sole tre occasioni.
Mancini è furibondo in panchina. Il lavoro di un’intera stagione sta per essere vanificato dalle debolezze caratteriali di un gruppo che fino ad allora appariva granitico.
Bobby gol prova a scuotere i suoi in maniera brutale.
I “F*** You” ripresi dalle telecamere ed indirizzati agli undici in campo si sprecano e non hanno bisogno di traduzioni.
L’entrata di Balotelli e Dzeko non porterà stravolgimenti significativi nel breve.
Occasioni in serie per il City dettate più dalla forza di nervi che da un’idea di gioco precisa.
L’extra time è alle porte. La lavagnetta del quarto uomo segna 5 minuti di recupero.
I supporters dei Citizens non ci credono più. Le lacrime e l’incredulità permeano il volto di ognuno di loro.
Lo United ha vinto per 1-0 in casa del Sunderland.
Uscire dall’Etihad Stadium a mani vuote, dopo aver consegnato il titolo agli odiati cugini, sarebbe un contrappasso impossibile da superare.
91’12’’. David Silva butta in mezzo l’ennesimo cross della giornata. Dzeko decide di sfruttare per intero i suoi 193 cm, sovrastando il suo marcatore.
L’impatto col pallone è micidiale.
Quello che serve per tenere in vita le flebili speranze di un riscatto sportivo allontanatosi, di colpo, anni luce.
Il Mancio è in trance agonistica. Gli schemi sono saltati, non servono più a nulla. L’essenziale è segnare il terzo gol.
210 secondi, una miseria ed un’infinità allo stesso tempo.
Il tempo sembra improvvisamente fermarsi quando ad un minuto e quaranta dalla fine Aguero scambia con Balotelli dal limite dell’area.
Super Mario difende il pallone. Sta per perderlo ma un balzo felino permette alla punta del piede di allungarne la traiettoria.
El Kun si trova al posto giusto nel momento giusto.
Il dribbling sul difensore del QPR in scivolata è un condensato di paura. Il destro al fulmicotone che si deposita alle spalle di Kenny è una scarica di adrenalina da elettroshock.
An unbelievable finish
Manchester ritorna celeste dopo quarantaquattro anni.
La rivincita dei rubbish sui mainstream. A modo loro, ovviamente. Nata in uno scantinato di Burnage a metà degli anni ’90, con dei versi profetici.
“Non credo che nessuno provi per te quello che provo io adesso.”
I tifosi del City lo hanno capito solo al termine di una pazza domenica di maggio.