Lazio, tamponi e giornalismo: la pagina nera dell’informazione italiana
Senza addentrarci nei meandri delle questioni tecniche e scientifiche, che non ci appartengono e non ci competono, sulla questione tamponi, Lazio e Lotito, c’è in atto un vero e proprio scontro. Uno scontro che vive essenzialmente sui giornali, utilizzati, ma questa non è una novità in Italia, come strumento per portare avanti crociate e battaglie campali. Perché tali sono, almeno leggendo le aperture degli ultimi giorni de La Gazzetta dello Sport. La Rosea ha indicato subito nel presidente laziale Claudio Lotito, inviso a molti e simpatico a pochi, il responsabile di una malcelata truffa. Tra le righe, ma non troppo, il quotidiano milanese (controllato dal presidente del Torino, Urbano Cairo) sostiene la tesi dei tamponi truccati, con la compiacenza dell’ormai mitico, suo malgrado, laboratorio di analisi di Avellino, a cui si appoggia la Lazio.
Un attacco frontale e diretto, mosso dall’odore, tutto giornalistico, dello scoop, senza dubbio, ma anche dall’acredine sedimentatasi in anni di pessimi rapporti tra Lotito e Cairo. Un vissuto che, con il giornalismo e le sue regole, difficilmente è garanzia di imparzialità. Certo, che il calcio con la carta stampata abbia da sempre un rapporto complesso non è una novità, e ognuno è libero di portare avanti le proprie battaglie. Ma viene da chiedersi perché La Gazzetta dello Sport, che è comunque il quotidiano sportivo più importante e autorevole d’Italia, cavalchi ipotesi di reato come se fossero condanne e ci tenga tanto ad affossare Lotito e la Lazio.
E questo non vuol dire che non ci sia nulla di poco chiaro. Al contrario, la nebbia intorno a Formello, ma anche intorno alla Lega Calcio, è fittissima. Ci sono due laboratori di analisi coinvolti dalla stessa Lazio, che danno risultati diversi, un protocollo con falle ormai evidenti ed in mezzo una squadra finita nel tritacarne. Qualcuno ha sbagliato qualcosa, magari la stessa Lazio, ed in quel caso sarebbe sacrosanto che ne pagasse le conseguenze. Pensare, però, o peggio dare per certo e per scontato, che un presidente mandi allo sbaraglio i propri giocatori, fregandosene della salute loro e degli altri, è un’accusa grave. Immaginare, invece, che nelle pieghe del protocollo della Lega Calcio ci sia uno spazio di interpretazione in cui la società biancoceleste si sia infilata, convinta delle proprie ragioni, appare già un’interpretazione più realistica che, comunque, resta un’interpretazione e non una certezza.
La vicenda, del resto, è oggettivamente appassionante. Peccato che una narrazione del genere non faccia che alimentare e polarizzare lo scontro, sia giornalistico che mediatico, con i social invasi da migliaia di commenti e sentenze, una più violenta dell’altra. Ecco, al di là di come andrà, di chi avrà ragione e chi torto, i toni della vicenda hanno rotto gli argini di una lettura giornalisticamente equilibrata. In realtà, però, sembra una battaglia unilaterale, perché in effetti, sfogliando le pagine degli altri quotidiani, l’analisi è decisamente meno sensazionalistica. C’è persino chi, come Tuttosport, quotidiano torinese e assai distante da Urbano Cairo e dalle sue battaglie, non ha mai portato la questione tamponi in apertura. Come a voler sottolineare che le crociate del suo presidente, non sono quelle del Torino, a cui Tuttosport dedica, come sempre, ampio spazio.
Calcio e giornalismo, insomma, regalano un’altra pagina, l’ennesima, di scarso equilibrio, mentre chi legge, più che informarsi, finisce per fare il tifo anche su questioni che, con il campo, non c’entrano nulla. E questa, per un mondo dell’informazione che vive il suo periodo più buio, in termini di autorevolezza e credibilità, non è una buona notizia.