Federico Marchetti, ex portiere della Lazio, ha ripercorso la propria carriera in biancoceleste e parlato del proprio futuro ai microfoni di Radiosei. Di seguito le sue dichiarazioni.
“Mi sto allenando da solo, non voglio smettere. Sto aspettando la soluzione ideale dopo la conclusione dell’avventura al Genoa. A febbraio farò 40 anni, gli Acquario non mollano mai”.
TIFOSI E IMMOBILE – “La cosa che mi emoziona ancora è girare per Roma, che la considero la mia seconda casa, essere fermato dalla gente, essere ancora osannato, è una cosa che mi riempe di gioia e ti fa capire cosa significhi giocare per la Lazio. Non possono dirlo in tanti. Forse chi gioca nelle milanesi e nella Juve, ma quando giochi a Roma o nella Lazio dici di aver giocato in un posto unico. Lo diciamo sempre anche con altri colleghi che hanno avuto la fortuna di giocare in questa piazza. Io a Ciro glielo avevo detto durante l’Europeo di venire alla Lazio, lui ha risposto che avrebbe parlato con il suo agente. Operazione intelligente e azzeccata”.
IL 26 MAGGIO – “La traversa di Totti? Avevamo fatto gol da poco, c’è stato questo calcio di punizione laterale, dovevamo difendere con la linea alta. La partita si era messa in un certo modo, ci siamo abbassati subito e si è creata confusione in area e non mi ha permesso di uscire su quella palla. È passata in mezzo tra difensori e attaccanti, di istinto l’ho mandata sulla traversa e poi è rimasta lì e l’ho presa. È stato un segnale che dovevamo vincere quella Coppa, anche perché non hanno avuto altre occasioni. Tante piccole cose. Ledesma non ce la fa, entra Mauri ed è decisivo. Anche alla fine quando entra Ciani e sbroglia delle situazioni di testa. Tra l’altro gli avevo detto: “Butta via questa palla che non ce la faccio più, ho i crampi non mi reggo più in piedi”. Non ho fatto vedere nulla, ma ero conciato così dopo una settimana del genere. Mi strecciavo da solo, senza far vedere che stavo soffrendo lo stress e la disidratazione. Poi fortunatamente ho finito la partita in modo dignitoso”.
SU NAPOLI-LAZIO – “Su un’azione nel primo tempo avevo sentito una fitta alla schiena, mi hanno dato il Toradol per non sentire il dolore. Poi a inizio ripresa sbaglia il rigore Higuain, io mi alzo e per esultare mi sono fatto più male di prima. Fa ridere a ripensarci, però è andata bene. È stata una delle partite che mi è servita per ritrovare la condizione, di ritornare quello che ero quando stavo a Cagliari”.
I COMPAGNI – “Il rapporto più stretto è quello con Stefan Radu, una presa per il culo era continua. La cricca era quella: lui, Candreva, Klose, Mauri. Miro? Aveva quell’ironia pungente classica del tedesco, non te la mandava a dire. Quando ti doveva massacrare lo faceva con la sua modalità. Era un leader silenzioso. Da come si allenava si capiva cosa voleva fare. A Roma non è venuto in gita, voleva essere protagonista, e poi il suo obiettivo era andare ai Mondiali e vincere. Un onore condividere lo spogliatoio con lui. La difesa? Biava, Dias, Konko e Radu terzini. Scaloni già si vedeva che aveva una mente che andava oltre il giocare da calciatore. C’erano Ciani, Cana, Garrido, Stankevicius, Zauri… Si era creata la giusta alchimia. Forse ho giocato anche con calciatori più forti, ma con loro c’era questa grande sintonia. Lulic? Simpatico, ma anche un po’ permaloso. Noi ci giocavamo. Lo prendevamo in giro quando magari non faceva una bella partita”.
STRAKOSHA E COSTRUZIONE DAL BASSO – “Thomas è un buon portiere. Il mio rammarico è solamente rispetto alla modalità con la quale si è creato spazio. Vicissitudini personali gli hanno lasciato campo libero, rispetto a come ci sono arrivato io, lui ha avuto molta più facilità. Non è passato da tutte le altre porte ardue che magari ho fatto io. Gli va dato merito perché ha fatto degli anni buoni. Si è un po’ adagiato dopo il secondo anno, ha giocato in modo un po’ conservativo. Quello che non sta facendo Provedel, che cerca di aiutare sempre la difesa. Quelli sono punti, anche se ogni tanto sbaglia. Partire da dietro? Con i piedi me la sono cavata sempre in modo egregio. Gli unici erano Juve di Conte e Torino di Ventura. Ci sono dei vantaggi per attaccare la profondità, ma devi avere i giocatori che lo possono fare. È tutto relativo, il classico dipende è d’obbligo”.
SU BUFFON E PERUZZI – “Sono stati dei modelli appena avevo deciso di diventare portiere. Poi mi sono più attaccato a Buffon perché era il portiere che è durato di più: è il Maradona della sua generazione. Il punto di riferimento di oggi? Io sponsorizzo gli italiani: dico Donnarumma e Carnesecchi. Mi rivedo nel portiere della Cremonese. Speravo che la Lazio lo prendesse. Credo che con Provedel abbiano trovato il giusto sostituto”.