Con il pareggio di ieri, contro la bestia nera Genoa, la Lazio scivola al nono posto in classifica. A quota 22 punti, uno in meno del Verona, quattro in più sul Benevento e a -6 dal quarto posto occupato dal Napoli. Con i partenopei che, però, hanno ancora una gara da recuperare. Sconfortante. Specie perché, davanti, non si ferma più nessuno, e quella che fino a qualche giornata fa era una simpatica ammucchiata, in cui poter rientrare con un paio di vittorie consecutive, oggi è un treno lanciato su cui è difficile salire al volo. Lontanissima la vetta, che un anno fa, di questi tempi, stava clamorosamente diventando un sogno possibile. Persino il sesto posto, che con i recuperi delle partite di Atalanta e Juventus potrebbe essere a 28 punti, ad oggi è un obiettivo ardito.
A Genova, come già in troppe occasioni in queste prime 15 giornate, la Lazio ha dato l’impressione – spiacevole – di aver perso lucidità, ritmo, fiducia. Se la scorsa stagione, almeno fino al lockdown, tutto girava alla perfezione, oggi i perni del gioco biancoceleste sembrano arrugginiti. Non solo Luis Alberto, il più umorale e talentuoso dei big, quello dai cui cambi di passo dipendono ancora troppo spesso le prestazioni dei biancocelesti. Milinkovic-Savic e Immobile sono gli unici costantemente sopra la sufficienza, insieme al solito Acerbi, almeno per l’impegno. Lucas Leiva, invece, non sembra più lui: gli acciacchi e il tempo ne limitano le prestazioni ormai da mesi. E poi c’è una bella dose di sfortuna, con i tanti infortuni che, da inizio stagione, hanno falcidiato una rosa che, francamente, non vale il nono posto in classifica. Ieri mancavano Correa, l’unico in grado di regalare il cambio di passo davanti, e Fares, l’unica alternativa sulle fasce a Lazzari e Marusic. Dietro, invece, al di là dell’aspetto meramente numerico (24 reti subite, uno sproposito), la sensazione è che superata la linea Maginot eretta dal solo Leiva la resistenza sia spesso poca roba.
Simone Inzaghi, simbolo di una squadra in cui è arrivato nel lontano 1999 da Piacenza, deve cambiare qualcosa. Ma difficilmente lo farà. Il 3-5-2, che è solo un modulo, con questi interpreti è diventato prevedibile e pieno di falle. Oltre che di difficile applicazione con questi uomini. Il gioco sugli esterni è fondamentale, ma averne solo due (e mezzo) a disposizione, non aiuta a garantire freschezza e soluzioni. Anche perché, né Marusic né Lazzari sono crossatori eccezionali, e nessuno dei due vede spesso la porta. Lucas Leiva non riesce più a reggere da solo il centrocampo, e allora forse pensare di avanzare Luis Alberto e rinfoltire la mediana potrebbe non essere un’eresia. Almeno per offrire maggiore protezione a una difesa eccessivamente vulnerabile, che al di là di Acerbi può contare su un Radu con tante primavere sulle spalle, su un Patric troppo spesso insufficiente e su un Luiz Felipe troppo fragile fisicamente. La gestione di questa rosa, però, non ha troppe scusanti. Nella Lazio di Inzaghi, che comunque resta la più bella e vincente dell’era Lotito, lo spazio per i giovani è praticamente nullo, le rotazioni troppo difficoltose, e l’inserimento dei nuovi lentissimo. Muriqi deve dimostrare il proprio valore, ma il mister deve trovare il coraggio di lanciarlo dal primo minuto. La gestione di Andreas Pereira, invece, inizia ad essere un mistero: l’ex United ha qualità, meriterebbe maggior fiducia e continuità.
Sul mercato, sulle scelte di Igli Tare, sulle scarse potenzialità economiche di Lotito, e sul ruolo in sede di trattative di Simone Inzaghi, si potrebbe scrivere un’enciclopedia. Oggi il calciomercato riapre i battenti, le esigenze della Lazio sono chiare ad ogni tifoso: un marcatore e un esterno sinistro. Essenzialmente, le stesse urgenze della scorsa sessione. Quando, invece, arrivarono una punta (Muriqi), nella convinzione che Caicedo avrebbe lasciato Roma, un libero (Hoedt), un fantasista (Pereira) e un secondo portiere talmente bravo (Reina) da relegare in panchina Strakosha. E anche un esterno sinistro, Momo Fares, più spesso in infermeria che in campo. Chissà quali sono state e quali saranno le richieste di Inzaghi – sempre più vicino al prolungamento di contratto – ma è meglio non farsi illusioni. Anche perché, per una volta, i problemi più che sulla scrivania di Tare sono in campo. La rosa, così com’è, non vale il nono posto. Sta a Inzaghi trovare alternative tattiche in grado di far rendere al meglio quello che, senza esagerare, è tra i migliori centrocampi della Serie A, se non il migliore. Al servizio di un potenziale offensivo che, tra Immobile, Caicedo, Muriqi e Correa sin qui ha prodotto 23 reti, le stesse della Sampdoria. Troppo poco, e sarebbe riduttivo limitarsi a dare la colpa al mercato, pur con tutte le sue, evidenti, falle.