Editoriali

L’Arsenal fa infuriare pure il Ruanda

Un calcio lontano dalla realtà

Nell’estate di Messi, Sergio Ramos e Donnarumma al PSG, ma anche di Grealish al City per 100 milioni di sterline, di Sancho allo United per poco meno, e di tanti altri colpi più o meno ad effetto, il calcio ha dimostrato una volta di non avere nulla da spartire con il mondo reale. Le follie del club parigini sono solo un esempio, e di certo lo sperpero non è il peggiore dei peccati di Nasser Al-Khelaïfi. Il presidente del PSG è a capo del fondo sovrano qatariota Qatar Investment Authority, fondato nel 2005 dal Governo del Qatar, che oggi fattura 335 miliardi di dollari l’anno.

I Mondiali in Qatar, tomba di 6.500 lavoratori

È, essenzialmente, l’emanazione finanziaria del potere politico di Doha, attraverso cui sedere nei Cda di banche, multinazionali, organizzazioni internazionali. Come la Uefa, che dopo il patatrac della Superlega ha visto Nasser Al-Khelaïfi scalare il vertice dell’Eca. Alla Fifa, invece, sono bastate le garanzie bancarie per affidare al Qatar il Mondiale 2022, e poco importa che nei dieci anni di lavori per costruire impianti e infrastrutture più di 6.500 lavoratori migranti provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka siano morti. L’inchiesta del The Guardian, pubblicata a fine marzo, ha fatto scalpore, ma non abbastanza da fermare la gioiosa macchina da guerra messa su dalla Fifa. La verità, per quanto faccia male ammetterlo, è che al calcio, dal più ricco dei calciatori all’ultimo dei tifosi della curva, del resto del mondo raramente interessa qualcosa.

Arsenal, la sconfitta è doppia

Volete un altro esempio? Ieri sera l’Arsenal del povero Arteta (che secondo i bookmakers rischiava la panchina già a metà luglio) ha esordito nel peggiore dei modi nella Premier League 2021/2022. Ossia, perdendo contro il neopromosso Brentford, che non giocava in massima serie da 75 anni. Ovvie le critiche, calcisticamente legittime, piovute sui Gunners da ogni angolo del mondo. Anche dal Ruanda, e non da un tifoso qualunque, ma dal Presidente in persona, Paul Kagame. Che tifoso è di sicuro, da anni, come testimonia il suo vivace e critico attivismo social. Ma anche spettatore interessato, perché dal 2018 il Rwanda è sponsor di manica dell’Arsenal, grazie ad un contratto triennale da 10 milioni di euro l’anno.

Una mossa che ha attirato qualche critica al Presidente Kagame, convinto della bontà di un accordo che, a quanto pare, sta già facendo crescere il turismo nel Paese. Cosa non così difficile da credere. Incastrato tra Repubblica Democratica del Congo, Uganda e Burundi, il piccolo Paese africano nel 1994 è stato teatro di uno dei peggiori genocidi della storia dell’umanità, quello dei Tutsi, ad opera degli estremisti Hutu. Fu l’esplosione di decenni di tensioni etniche, che si risolsero in quello che è conosciuto oggi come il “Genocidio del Ruanda”, costato la vita, in pochi mesi, a quasi un milione di persone. Ci vorranno anni per ricostruire una parvenza di pace, con la svolta che arriva solo nel 2000, quando viene eletto Presidente Paul Kagame.

Ricchezza in cambio di democrazia

Da allora, l’ex generale dell’esercito, alla guida del Fronte Patriottico Ruandese, è stato rieletto sempre con percentuali quasi plebiscitarie. L’ultima volta, nel 2017, ha conquistato il 98% dei voti. Basterebbe, ampiamente, a certificare che la Repubblica del Ruanda non può essere presa come esempio di democrazia. Eppure, a Paul Kagame, politicamente, va dato merito di aver compiuto un piccolo miracolo. Oggi il Ruanda vanta indicatori, non solo economici, da Paese del primo mondo: appena 2,5 omicidi ogni 100.000 abitanti (in Usa sono 5,4, nella vicina Repubblica Democratica del Congo 13,6); 48° posto tra i Paesi meno corrotti al mondo (l’Italia è al 52°); l’aspettativa di vita è di 67 anni (25 anni fa era di appena 28); 15° economia al mondo per ritmo di crescita (7,59% l’anno tra il 2013 e il 2017).

Il Ruanda che tifa Arsenal

Messa così, un paradiso in terra. Dove, però, la democrazia non è che una chimera. Secondo il “Democracy Index”, l’indice di “The Economist” che ogni anno valuta il grado di democrazia di 167 Paesi in tutto il mondo, il Ruanda nel 2020 veniva classificato come “Regime Autoritario”, al 130° posto ed un indice di democrazia di appena 3,16. Le note peggiori arrivano dalle colonna “Libertà Civili” (2,94) e “Processo Elettorale e Pluralismo” (1,42). Brutta sconfitta, quella di ieri per l’Arsenal. Ma mai come legare il proprio nome, glorioso, a quello di un regime, più che di un Paese bellissimo.

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Published by
Piermichele Capulli