Non vi era abbastanza chiacchiericcio, tra Coronavirus, decreti, vaccini, Recovery Plan. La SuperLeague è stata un’autentica bomba nella quotidianità degli appassionati del pallone, e non solo. Un fulmine così fragoroso che, inevitabilmente, cambierà gli equilibri e le sinergie del mondo del calcio nel Vecchio Continente. La SuperLeague ha vissuto per anni nella sezione utopica della tante dicerie, non troppo differente dal ponte sullo stretto o il muro sul Messico tanto caro all’ex presidente statunitense Donald Trump. Una di quelle cose che: “Sì lo dicono, ma tanto non lo faranno mai”. La domenica del 18 aprile 2021 saltano tutti gli accordi: 12 top-club europei annunciano la nascita di una Lega d’élite e, da lì, il calcio non sarà più lo stesso.
Le reazioni mediatiche violente, coadiuvate da una vera e propria crociata istituzionale portata avanti da Aleksander Ceferin, in 48 ore distruggono il progetto dalle fondamenta, relegandolo ad un mero sogno mai realizzato. Nessuno poteva aspettarsi una tale ridondanza, esasperata da toni aggressivi completamente lontani dall’etica morale che accompagna gli stessi toni, sotto forma di argomenti contraddistinti dalla difesa del calcio. Ma soprattutto, del popolo del calcio. Il progetto SuperLeague ha fatto uscire allo scoperto tutti i veri attori del pallone. Qualcuno ha difeso i propri ideali, battendosi contro una lega nata nelle tenebre tra i bisbigli e le pugnalate alla schiena. Quelle di Agnelli, soprattutto, nei confronti di Ceferin. Un duro colpo per lo sloveno che, da più di tre anni, non rinunciava all’appoggio del ‘fidato amico’ Agnelli con cui si era creata una sinergia davvero importante. Tanto da intrattenersi più volte in occasioni anche informali, come il battesimo della figlia del patron bianconero, di cui Ceferin ha fatto da padrino.
Un’idea interessante, con tanti spunti e prospettive di rilancio ma nata con una pessima comunicazione, tanto quanto la tempistica. Ed è sul terreno della comunicazione che Ceferin l’ha distrutta. Dopo aver rivoltato tutti gli stakeholder del calcio contro i congiurati, Ceferin ha spostato la battaglia sul piano politico, avvalendosi anche dell’ausilio di Boris Johnson e dei suoi fermi principi politici volti alla salvaguardia dell’industria nazionale. Una guerra politica e mediatica, dove il tifoso è stato usato (come sempre) come espediente. Un po’ come quando i politici si avvalgono di figure sempre socialmente toccanti come ‘la mamma che accompagna i figli a scuola’ o ‘il giovane che deve cercare lavoro all’estero’.
Il tifoso non ha alcuna rilevanza in questa disputa, nè negli interessi dei Superleghisti – senza riferimenti partitici ovviamente – nè in quelli dei potenti capi del calcio europeo. La SuperLeague ha letteralmente incendiato un movimento che è già in forte crisi. Il Covid ha aperto le crepe economiche e organizzative di uno sport che paga un decennio di politiche errate. Dal Fair Play Finanziario ai mancati correttivi sulle spese. Dalla poca cura verso la mutualità tra club allo scarso interesse verso la distribuzione dei ricavi. Ora Ceferin ha molta più responsabilità di quella che possedeva in passato. Ha vinto la sua battaglia, ma non quella del calcio che resta ancora un malato con forte bisogno di cure.
Le parole sono state aggressive e da brividi talvolta. Si va da: “Qualcuno dovrà sedermi lontano” a “Mi hanno sottovalutato e ne pagheranno le conseguenze”, fino a raffronti da gelare il lettore: “Ho difeso dei criminali di guerra come avvocato, ma non ho mai visto uno come Agnelli”. No, si sta sconfinando. Decisamente. Se i toni sono terribili, i fatti sono anche più allarmanti. La risposta alla SuperLeague altro non è che una SuperLeague con il nome Uefa sulla locandina. Basti vedere i connotati della riforma della Champions.
Passaggio da 32 squadre a 36. Le quali non saranno più suddivise in gruppi, come accade con il formato attuale, ma in un unico girone allargato. Ogni formazione giocherà 10 partite di cui cinque in casa e cinque in trasferta, le avversarie saranno decise tramite sorteggio e senza gare di ritorno. Le prime otto classificate passeranno subito alla fase a scontro diretto, mentre le ultime dodici saranno automaticamente fuori dai giochi. Le squadre classificate invece tra il 9° e il 24° posto giocheranno un playoff andata/ritorno per ottenere la qualificazione agli ottavi di finale. Addirittura, sembra esserci l’ipotesi di una wild card per squadre blasonate, in barba al tanto difeso principio del merito. Nessun cambio in vista sui ricavi, nessuno su salary cap. La SuperLeague proponeva un innalzamento del fondo di mutualità interna di circa 160 milioni in più rispetto a quello Uefa.
Il calcio europeo è in fiamme e le battaglie personali non lo aiuteranno. La SuperLeague ha scatenato questo incendio, ma ora Aleksander Ceferin rischia di ridurre tutto in cenere. D’altronde, per combattere una ‘minaccia’ come la SuperLeague, è opportuno rimuovere i presupposti che possano portare alla sua nascita. E non con il proibizionismo calcistico. Il calcio è dei tifosi? Allora spieghino ai tifosi perché il bilancio Uefa puntava ai 6 miliardi di ricavi per il 2020 prima del Covid, mentre quelli dei club vanno logorandosi anno dopo anno. Altrimenti, si rischia solo di alimentare una SuperLeague ombra che ha il solo merito di essere stata fatta dalle mani della Uefa. Si abbandonino gli slogan e si pensi al calcio, davvero.