È stato il fine settimane delle “bacchettate” per il calcio, come quelle che le maestre di una volta rifilavano sulle mani degli alunni maleducati. Il ruolo della severa istitutrice se lo sono spartiti il Ministro Spadafora ed il Governo. Il primo si è detto irritato per l’applicazione deficitaria del protocollo da parte della Serie A, il secondo ha portato ancora una volta i tifosi fuori dallo stadio. Voci di corridoio parlano di una FIGC reazionaria, e sarebbe questa una reazione inappropriata e sconveniente, come quella dei genitori che, a scuola, difendono la maleducazione dei propri figli.
Nel frattempo, però, si è anche giocato e ne abbiamo viste di tutti i colori, perché il campionato in corso, figlio della realtà paradossale in cui nasce, è più assurdo che mai, difficile da cogliere per non dire impossibile. Il campionato in corso è un festival di goleade, stranezze ed effetti “wow”.
Impossibile annoiarsi quando in campo c’è il Sassuolo. Al Mapei Stadium ci si diverte anche quando va in scena un pareggio e gli occhi devono fare a cazzotti con la nebbia. E nella foschia si sono intravisti colpi di tacco, errori, magie, un Toro redivivo e neroverdi con più gusto nel rimontare che nel prendersi la vetta delle classifiche. I granata hanno avuto un grosso demerito, quello di aver sprecato due gol di vantaggio, ma sono stati tutto ciò che non erano riusciti ad essere fino a venerdì: forti, coesi, sicuri, propositivi. Peccato la crescita sia valsa solo un punto, almeno il primo. De Zerbi deve chiedersi se la sua squadra dovrà essere per sempre umorale o potrà barattare un po’ di sensibilità con l’equilibrio. Se il Sassuolo fosse meno lezioso e più spietato sarebbe lecito quasi tutto.
È lecito quando in panchina c’è Ranieri: la signorilità e la bontà dell’uomo, non oscurano la sua professionalità e la grandezza in panchina. La Sampdoria ha reso orfano, nel giro di due settimane, lo specchio parlante allontanando le più belle del reame della scorsa stagione: Lazio prima, Atalanta poi. I blucerchiati sono stati attenti e coraggiosi, equilibrati ma non troppo, questo è valso una vittoria meritata. La Dea non perdeva due partite di fila in Serie A dal febbraio 2019.
Un mea culpa andrà recitata in solitaria da Gasperini, ha stravolto la squadra togliendole l’identità. Si alza un’interrogativo per gli esperti: siamo sicuri che l’Atalanta abbia due squadre?
Teniamo alto il cappello per Quagliarella, il vero “Immortale”.
Immortale come ha provato ad esserlo il Genoa di Maran. Sta riabbracciando i reduci, nel frattempo deve arrangiarsi come può e il risultato è stato gradevole, o almeno encomiabile. I rossoblù hanno lottato con la forza di chi non ha nulla da perdere ed in effetti la sconfitta non gliela si può imputare. La vittoria dell’Inter, invece, ha un solo indagato: Romelu Lukaku. Il belga ha scontato quasi tutti gli 83 milioni a suon di gol, di piede suo invece che di tasca. Fatichiamo a credere che l’Inter sia anche lontanamente vicina a quella immaginata da Conte, ma ha trovato la vittoria che mancava da tre match e tanto basta. C’è un grossa dipendenza dalla Lu-La e se la mollezza di Eriksen dipende dal mancato feeling con Conte allora forse andava ceduto.
Finalmente ai tre punti in campionato è ritornata anche la Lazio. I biancocelesti hanno prestato per un tempo il fianco al Bologna che ci ha fatto vedere tante cose buone.
Gli uomini di Sinisa sono però un buon prestigiatore, illudono e raccolgono applausi. Alla fine sotto al trucco non c’è niente, nemmeno un pareggio, la solita sconfitta.
Sconfitta maturata alla lunga, quando il tasso tecnico decide le partite. Non a caso l’ha sbloccata Luis Alberto e l’ha chiusa Immobile.
A farci restare sul tema circense ci hanno pensato Cagliari e Crotone. Si sono sbloccati i padroni di casa alla Sardegna Arena, ma hanno dovuto fare i conti con un Crotone in stile “Die Hard”. Come fossero parte di un film, i 90 minuti ci hanno regalato spettacolo. Il copione è stato equilibrato con continui ribaltamenti di fronte e gli attori potevano essere liberi di interpretare le battute a loro piacimento. Poteva succedere di tutto, se non fosse stato espulso Cigarini. La superiorità numerica ha calato il sipario sugli ospiti. Di Francesco assapora la continuità, gli mancava da tempo.
Mancava dal 2017/2018 il derby campano tra Benevento e Napoli, non è finito diversamente dalle ultime due volte, perché hanno vinto gli azzurri. Ed è buffo che la sfida aperta da due fratelli campani, Roberto e Lorenzo, sia stata decisa da un friulano, Petagna. Ha fatto bene il Benevento, molto meglio di quanto fatto con Roma e Inter. Inzaghi ha preso spunto dall’AZ e ci è andato vicino a ripeterne l’impresa, forse ha solo sbagliato i cambi. Il Napoli è una squadra che può quasi tutto questo anno, ma ha due problemi: il primo è mentale e riguarda l’approccio; il secondo è tattico perché ha un assetto da assalto, ma se non ci sono varchi va a sbattere.
A sbattere è andato lo Spezia, perché fosse stato più fortunato sarebbe stato corsaro proprio come ad Udine. Si è salvato il Parma, invece, che ha evitato la quarta sconfitta grazie ad un vantaggio dilapidato degli ospiti e alle spalle grosse di Kucka.
Forsennati sono stati i ritmi della gara, guidati dagli uomini di Italiano, e sembravano poter tagliare la gambe a quelli di Liverani, ma come si dice in questi casi, “aiutati che Dio t’aiuta”. I gialloblù hanno avuto il merito di non arrendersi, di rientrare in partita e riprendersela.
Si è ripresa la Fiorentina. È tornata a fare la voce grossa, si è ricordata di valere. Lo ha fatto sotto la stella del numero che storicamente a Firenze brilla di più: il 10. Castrovilli è in stato di grazia, è un trascinatore, vedi due gol e un assist. L’Udinese è stata disordinata difensivamente. L’impressione è che i bianconeri debbano ancora capire cosa essere.
Gli altri bianconeri, ieri in rosa “shocking” per il risultato, hanno frenato ancora. Non è certo il tempo degli allarmismi, ma è arrivato il secondo pareggio di fila in campionato contro il Verona e dopo il Crotone. Chi ha l’obiettivo di vincere non può fallire queste partite.
Deve far riflettere, soprattutto, il modo in cui è maturato il misero punto portato a casa. Perché la Juventus è entrata in partita ancora troppo tardi e ha sofferto tremendamente degli avversari affamati, ordinati e verticali. L’impressione è che manchi ancora il dinamismo ricercato la scorsa stagione da Sarri, così come la manovra spesso lenta e compassata.
Si è accesa sul finale e per quanto prodotto avrebbe anche potuto strappare la vittoria. È mancata la lucidità, la fortuna, la personalità di Ronaldo. In attesa del Barcellona, sappiamo ciò che i bianconeri subiscono ma non ancora ciò che possono dare, né, tantomeno, in che modo.