La Roma si scioglie (ancora) di fronte a una grande Lazio
Il giorno dopo è quello delle analisi lucide. La Roma ha bisogno di mettere in archivio al più presto un derby che ne ha acuito i limiti. La Lazio, al contrario, ha l’obbligo di mettere il derby tra i ricordi felici di una stagione difficile, ma che ha ancora tanto da dire. Senza coccolarlo troppo, ma tenendo sempre ben presente il proprio potenziale. Che, senza la Champions, e nonostante un calendario decisamente fitto, sembra finalmente tornato ai livelli della scorsa stagione.
In campo è stato un derby vero, ad alta intensità, dominato tatticamente da Simone Inzaghi che, quando conta, non sbaglia quasi mai scelte e partita. La Roma, però, si scioglie ancora una volta di fronte ad una squadra più forte. Mettendo per un attimo da parte la classifica, e la tendenza da inizio stagione, ieri sera la Lazio è stata superiore. In ogni reparto, e in ogni uno contro uno. Inzaghi e Fonseca si studiano da un anno e mezzo, si conoscono, e nessuno dei due, ieri, ha fatto un passo indietro. In campo, Lazio e Roma sono scese con gli undici più rodati, e ampiamente annunciati. Nessuna sorpresa, se non la qualità degli interpreti. Che da un lato hanno interpretato al meglio il proprio ruolo, mettendo a nudo tutti i limiti degli avversari.
Il povero Ibañez, peggiore in campo, non è riuscito a riprendersi dal grottesco scivolone che ha lanciato la Lazio. Spinazzola, sulla sua fascia, si è trovato di fronte il miglior Lazzari della sua carriera, migliore in campo per distacco, pur senza segnare. Pellegrini, unico romano in campo, non ha mai trovato la posizione in campo. Veretout, se possibile, ha fatto persino peggio, correndo da una parte all’altra del centrocampo, ma senza mai entrare in partita.
Ed è qui, dove il gioco si crea e di distrugge, che la Lazio è stata superiore. Decisamente superiore. Luis Alberto, al di là dei due gol, è stato bravo anche ad accorciare, cosa che ormai fa sempre meglio. Milinkovic-Savic, dopo un inizio balbettante, è stato un crescendo rossiniano, al quale ha ormai abituato. Lucas Leiva non ha più i ritmi di un anno fa, ma può permettersi di dare tutto e poi, sfinito, lasciare il posto a un Escalante sempre più nei gangli dei meccanismi del centrocampo laziale.
La Roma, invece, paga i propri limiti. In primis tattici, perché dopo mezz’ora era chiaro che le due linee di centrocampo non stavano garantendo né pericoli offensivi, né copertura. Fonseca non ha trovato la chiave di volta, neanche al rientro dagli spogliatoi, e anzi il secondo tempo è stato ancora più ingeneroso. Villar, tecnicamente indiscutibile, ha ancora tanta strada davanti a sé. Dzeko, isolato contro Acerbi, non può risolverla da solo, specie all’alba dei 35 anni. Mkhitaryan, la vera sorpresa della prima metà di campionato della Roma, ieri sembrava tornato quello altalenante e un po’ triste visto in Inghilterra.
La Lazio invece non ha sbagliato nulla, da Pepe Reina al solito, generosissimo, Ciro Immobile, è girato tutto a meraviglia. Proprio come un anno fa. Con gli stessi interpreti di un anno fa. Quando la classifica vedeva i biancocelesti al terzo posto, con 39 punti, 8 in più di oggi, e la Roma al quarto, a quota 35, appena uno in più di oggi. Ecco, dopo 365 giorni, pari a un’era calcistica, in fin dei conti non è cambiato granché. La Roma ha quasi gli stessi punti, la Lazio no, ma sull’onda del derby ha il dovere di risalire la china. Senza guardare troppo in alto, perché davanti è bagarre, con sei squadre in cinque punti e tante partite ancora da giocare o da recuperare.