La paella è un piatto che va servito freddo

La paella è un piatto che va servito freddo

(Photo LaPresse - Fabio Ferrari)

Le vendette nel calcio possono scatenare sentimenti contrastanti e se incompiute rischiano di rimanere indigeste. Come un piatto di paella. Difficile ritornare indietro in quel 2012 e ripercorrere quanto accaduto, una batosta simile deve essere totalmente cancellata. Il 4-0 alla fine non è andato giù a nessuno, c’era la possibilità e l’obbligo di fare qualcosa di più. Dopo nove anni nessuno ha ancora trovato una spiegazione logica a quanto accaduto il 1 luglio 2012, serata in cui Spagna-Italia diventò la festa iberica a base di lacrime tricolori. Altro calcio, altri tempi: gli azzurri stavano cercando di uscire dalle macerie post-mondiale, i fantasmi del 2006 erano parecchio vividi e nessun gruppo era riuscito ad eguagliare gli eroi di Berlino.

Oggi però c’è una sensazione differente. Il collettivo, appunto, è diametralmente opposto al concetto esposto nella nefasta serata di Kiev. L’Italia è consapevole dei propri mezzi, sa cosa fare quando deve giocare a calcio, ma soprattutto ha un’unione di base che difficilmente si è vista nelle ultime stagioni. Non solo, il tasso tecnico è nettamente più elevato: Chiesa ha dimostrato di avere un impatto ad alti livelli decisamente differente, Barella non ha mai pagato il salto dal Cagliari all’Inter. Jorginho e Verratti sono titolari in due top club e hanno vinto parecchio. Punto. Sugli altri è inutile soffermarsi, le individualità ci sono e molto probabilmente nel gioco delle coppie vinciamo noi.

Sarà difficilissimo andare avanti e arrivare alla finale per ripercorrere un’impresa ancor più storica, una rivisitazione in salsa moderna dei leoni di Wembley. I sogni però non devono mai mancare nel cassetto, soprattutto quando affronti una nazionale che nel giro di pochissimi anni ha vinto due europei e un mondiale, specchiandosi un po’ troppo sui successi e rimanendo a un passato calcistico che oggi ha poco senso di esistere, soprattutto ai ritmi folli a cui siamo abituati in campo.

Sarà Italia-Spagna, sarà Barella contro Pedri, Jorginho contro Busquets. Ma anche Immobile contro Morata e Sarabia contro Insigne. Laporte-Bonucci, Unai Simon contro Donnarumma. Sarà il classico palleggio in mezzo al campo contro una nazionale di talento ma col solito animo italiano, quel catenaccio che è più un prodotto tipico che un modo di giocare. Sarà Roberto Mancini contro Luis Enrique, due commissari tecnici che a loro modo stanno lasciando il segno in questo sport.

Sarà la gara delle polemiche, questa volta tutte spagnole. L’Italia arriva da una mancata partecipazione al mondiale, ora è quasi sul tetto d’Europa a giocarsi ad armi pari una finale. Nemmeno il tifoso più ottimista avrebbe potuto immaginare un epilogo simile dopo quella tragica notte di novembre a San Siro. Comunque vada ci sarà spettacolo, ritmo, intensità e grinta. Ci sarà la voglia di prendersi la rivincita, la necessità di dire a tutti che l’Italia è tornata, con qualche anno di ritardo.

E allora scusate il ritardo, ma noi ci siamo. Non siamo talentuosi come nel 2006, non abbiamo tanti fenomeni come è accaduto negli anni precedenti. Ma abbiamo qualcosa in più che ci ha permesso di battere il Belgio e di gestire le energie nervose in un momento complicato contro l’Austria. L’Italia è pronta per riprendersi la sua rivincita e tornare a giocarsi un titolo europeo, il terzo (eventualmente) in 21 anni. C’è voglia di festeggiare per strada perché anche la persona meno sensibile ha passato qualche mese da dimenticare. Il calcio, come al solito, ti aiuta a rendere amaro un boccone che proprio non vuole saperne di andare giù.

E come già detto, non ci dovranno essere vendette. La paella, a quanto pare, è un piatto gustosissimo anche se servito freddo.