Kvaratskhelia, si cresce anche così: una sconfitta per diventare (davvero) grande
Vedi Napoli e poi muori, deve averlo pensato Kvaratskhelia quando ha visto il Maradona esplodere come mai prima. Una sensazione fra emozione e incredulità per uno che è passato dall’essere promessa a idolo nel giro di neanche una stagione. Quella con il Milan doveva essere la partita che riscrive la storia, per certi versi l’ha fatto, magari non come si immaginava. Ha vinto Golia, ha vinto Maignan, è passato chi è più forte. Non sul campo, ma di testa.
Quando si arriva a un passo dalle semifinali di Champions è sempre così: puoi sperare di vincere grazie al calore del pubblico, ma non basta per ribaltare un risultato. Serve testa, applicazione ed esperienza. Tutte cose che il Milan ha in Europa, il Napoli in Champions ha fatto la storia, arrivando ai quarti. Non c’era riuscito neppure Maradona: Luciano da Certaldo e Khvicha da Tiblisi ce l’hanno fatta. Le semifinali, però, hanno bisogno di quel qualcosa in più.
Kvaratskhelia, il valore della normalità
Quella scaltrezza che ti permette di mantenere i nervi saldi anche quando vorresti esplodere. Kvaratskhelia, al Maradona, è esploso male contro un Milan emozionato ma meno emozionale di lui e del resto dei partenopei. Sugli spalti si può, forse, già festeggiare: in campo, però, occorre mantenere la concentrazione. La stessa che ha conservato Maignan quando proprio il georgiano poteva beffarlo dagli undici metri: la differenza non l’ha fatta il tiro, la reazione o i riflessi. I nervi: il francese li ha mantenuti saldi, il georgiano no.
Ha sentito il peso di un popolo (ormai il suo) sulle spalle: un filo rosso da Tiblisi a Fuorigrotta che gli ha stretto un nodo alla gola. De Gregori dice e sottolinea con tutta l’armonia possibile che un giocatore non si giudica da un calcio di rigore. Infatti, per Khvicha e per il Napoli non è quello il problema. Il punto sono le altre giocate: quelle che i partenopei non hanno osato fare rispetto alle altre partite perchè schiacciati dalla paura delle aspettative e il rischio di prendere l’imbarcata.
La differenza tra fenomeno e campione
Esitazione dovuta all’adrenalina che scorre più veloce dei pensieri e dei timori in grado di bloccare un’armata. Il Diavolo è tentatore, ma l’azzurro rischiara. A Napoli, ora, vedono solo grigio ma la storia si fa (anche e innanzitutto) con le ombre. Dalla prima Champions a cui hanno partecipato gli azzurri – c’era Mazzarri in panchina – a oggi sono passati 12 anni. Il Napoli, prima di allora, non metteva piede nell’Europa che conta da 21 anni. Oggi la vive, malgrado tutto, da protagonista.
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Anche grazie a quegli eroi così splendidamente normali: in grado di “camminare a mezz’aria” il giorno prima e schiantarsi a terra quello successivo. Sempre con la consapevolezza di aver fatto qualcosa di grande. Da Cavani a Kvaratskhelia la sostanza non cambia, si diventa campioni quando ci si rialza. Il numero 77 ha cominciato a capirlo in una notte che doveva essere magica, invece è stata utile.