Kishna: “Sono stato depresso. Pensavo di non poter più vivere”
Ospite del programma dell’ex Inter, Van der Meyde, l’ex meteora biancoceleste, Ricardo Kishna ha rivelato di aver dovuto affrontare la depressione in seguito all’infortunio al ginocchio subito durante il prestito all’ADO Den Haag (dalla Lazio). Ecco le sue parole:
“Sono stato davvero depresso. Ogni notte, quando ero a letto, non osavo chiudere gli occhi perché avevo paura di non risvegliarmi. Mi sentivo seriamente come se stessi morendo. Dovevo prendere farmaci per essere in grado di affrontare normalmente la giornata”.
Sulle relazioni con la sua famiglia in quel periodo della sua vita, Kishna ha dichiarato:
“Non potevo più prendermi cura della mia famiglia e mi sono trasferito, ho vissuto da un’altra parte. Ero davvero intrattabile in quel momento. Le mie relazioni si sono rotte, quasi tutto si è rotto. Se non riesci a vivere con te stesso, allora ti sfoghi con gli altri”.
Kishna ha, poi, raccontato il momento peggiore:
“Sono impazzito. Pensavo di avere un tumore alla testa, un infarto, un ictus. Ho fatto una scansione della testa, del cuore e dei polmoni per escluderlo. Il punto più basso è stato quando ho pensato: ‘Se sto così male, non voglio più vivere. Non posso vivere con tutto questo’. Non volevo suicidarmi, ma pensavo davvero di non poter convivere con tutto quel dolore. Il mio psicologo mi ha detto: ‘Hai attacchi di panico’. Pensavo fosse pazzo. Ma mi ha elencato 50 sintomi di attacchi di panico e io ne avevo 38″.
Su come si comporta il mondo del calcio in queste situazioni:
“Nel calcio è una specie di tabù raccontare che si sta male. Siamo tutti uomini, vogliamo tutti avere successo. Ma ci sono anche momenti in cui le cose non vanno come dovrebbero. Penso che sia molto importante condividerlo”.
Infine, Kishna, tornato ad allenarsi ancora con l’ADO Den Haag, ha voluto fare un appello ai calciatori che vivono una situazione simile alla sua:
“Ho sentito storie di ragazzi che dovevano prendere delle pillole prima di ogni partita. La cosa peggiore è che non si può controllare. Ecco perché penso che sia così importante raccontarlo. Quando succede qualcosa del genere, parlatene e chiedete aiuto”.