Da quando il Covid-19 è entrato nelle nostre vite, il calcio e lo sport in generale hanno pagato uno dei prezzi più alti.
L’emergenza Covid ha imposto dapprima lo stop a tutte le competizioni, e poi la ripresa delle stesse rigorosamente a porte chiuse. E così chi prima vedeva nello stadio pieno una gallina delle uova d’oro, ora è costretto a fare i conti con la nuova normalità, e il caso della Juventus è sicuramente emblematico.
Una delle poche squadre in Italia a possedere uno stadio di proprietà e di gran lunga la più seguita, con la chiusura dell’Allianz Stadium i bianconeri perdono dai 2 ai 4 milioni a partita, con forti ripercussioni sul piano economico e di conseguenza sul mercato, ben distante dai colpi faraonici degli ultimi anni.
Tra abbonamenti, biglietteria e servizi aggiuntivi, gli introiti dell’Allianz incidono per circa il 15% dei ricavi del club, un considerevole bottino che ora viene meno per cause di forza maggiore.
La società ha cercato di correre ai ripari proponendo al governo un piano di sicurezza per riaprire lo Stadium già alla prima giornata di campionato, in programma domenica 20 settembre contro la Sampdoria. La regione Piemonte, attraverso il suo presidente Alberto Cirio, ha appoggiato il progetto, ma il governo non è stato dello stesso avviso, emanando un nuovo Dpcm che impone la chiusura degli stadi fino al 30 settembre.
Mancano pochi giorni alla ripresa della Serie A, e la questione degli stadi torna a essere un tema cruciale, per la juve ma anche per tutti gli altri club.
I bianconeri avevano già preparato un piano che prevedeva un massimo di 16mila spettatori (su una capienza massima di 40mila), arrivi scaglionati, controllo della temperatura, distanze, obbligo di mascherina con vigilanza continua tramite steward.
La voglia di tornare a giocare con il pubblico sugli spalti e la necessità di far quadrare i conti spingono le società a chiedere a gran voce la riapertura degli stadi.
Ma almeno per adesso il governo e il Cts non ne vogliono sentir parlare.