Dopo uno scudetto quasi scontato e poco goduto, nella stagione, atavica e faticosa, del lockdown e della ricerca, mai trovata, del bel gioco, e dopo una qualificazione alla Champions League acciuffata per i capelli all’ultima giornata, la Juventus torna alle origini, al pragmatismo, a Massimiliano Allegri. Un ritorno celebrato, a ragione, da una squadra che, per due stagioni, ha vagato in un deserto sconosciuto. Prima con Maurizio Sarri, cultore del bel gioco ma anche della didattica sul campo che, si sa, ai grandi campioni rimane spesso indigesta. Difficile insegnare qualcosa a uno come Cristiano Ronaldo, dirà il tecnico toscano nato in Campania.
Salutata l’ambiziosa ricerca dello spettacolo, una dirigenza ammaliata dai successi in Liga di Guardiola e Zidane, ha provato a percorrere la strada dell’allenatore cresciuto in casa. Solo che Andrea Pirlo, dell’allenatore, non aveva ancora molto, se non una tesi piuttosto confusa discussa pochi giorni prima della sua nomina a Coverciano. Con la stessa rosa di Sarri, più un paio di innesti di enorme livello – Kulusevski e Chiesa – ha faticato per tutta la stagione, rivelatasi per gli juventini una lunga e faticosa traversata nel deserto. La conquista di un piazzamento in Champions League, dovuta più che altro al regalo del Napoli all’ultima giornata, non ha salvato Pirlo dall’esonero più comprensibile della storia recente del calcio.
Al suo posto, dopo due anni di rimpianti, riecco Massimiliano Allegri, l’uomo della provvidenza, dei cinque scudetti in fila e delle due finali di Champions League. La missione, però, non sarà semplice. L’Inter campione d’Italia in carica, persi Hakimi e Conte, ha mantenuto comunque l’ossatura della scorsa stagione, e tante certezze, in ogni ruolo. Quelle che mancano, allo stato attuale, ai bianconeri. Almeno fino a quando non arriverà il tanto sospirato Manuel Locatelli, chiamato a dare un senso ad un centrocampo che, un senso, non ce l’ha. Almeno da quando la Juventus ha salutato Pjanic, passato al Barcellona nello sciagurato scambio con Arthur.
Dopo un anno, il risultato è che il bosniaco è già in predicato di lasciare la Catalunya, finito ai margini degli schemi di Koeman dopo pochi mesi, mentre il brasiliano è stato rimandato a ottobre. Operato un paio di giorni fa (rimozione dell’ossificazione della membrana interossea della gamba destra), starà fuori almeno tre mesi. Tanti, specie in un ruolo tanto delicato. Chissà, al suo rientro, che posto gli troverà Allegri. Alla fine di tutto, è in mezzo al campo che si costruiscono i successi e gli insuccessi, ed è qui che il tecnico livornese dovrà trovare la quadra. Basterà l’innesto di Maneul Locatelli? Che fine farà Ramsey? E Rabiot, spesso titolare nella Francia, è pronto a diventare un pilastro della mediana bianconera?
Tante domande, pochissime risposte, come è naturale che sia a luglio. Ma anche tanta curiosità, perché l’Europeo ha restituito la giusta dimensione ad un talento assoluto come Federico Chiesa. Che, dopo un anno di rodaggio, non può che essere un titolare fisso della Juventus 2021/2022, magari insieme a Dybala e Kulusevski. Una svolta qualitativa, guidata dal pragmatismo di Massimiliano Allegri, per arrivare dove non sono arrivati né Sarri né Pirlo: tornare a vincere, dominando le partite. Qualcosa che è riuscito, in carriera, spessissimo a Cristiano Ronaldo, l’incognita più grande. Ancora indeciso sul da farsi, buona cosa sarebbe iniziarlo a trattare come gli altri, senza paura di lasciarlo fuori, di tanto in tanto. Il portoghese, campione assoluto e celebrato quotidianamente, distruttore di record ed alzatore di trofei personali e di squadra senza eguali, è a fine carriera, centillinarne l’utilizzo non è un reato. Specie con un Dybala che scalpita per riprendersi ciò che è suo, che gli spetta: il protagonismo che gli è mancato, complic i tanti infortuni, nell’ultima stagione.