Italia, da San Siro a Sarajevo: storia di un mondo cambiato
Come è possibile che tre anni cambino un intero mondo? Domanda che ci si pone più di una volta se si segue, da osservatori o da semplici tifosi, la Nazionale italiana di calcio.
13 novembre 2017. A San Siro una formazione in preda a una confusione tattica e con un ambiente ormai imploso pareggia contro la Svezia e, in ragione della sconfitta rimediata in terra scandinava pochi giorni prima, manca la qualificazione al successivo Mondiale russo a 60 anni dalla prima, e sin lì ultima, volta.
18 novembre 2020. Quella stessa formazione, nel frattempo diventata una squadra, batte per 2-0 la Bosnia e si qualifica per la fase finale della Nations League dopo essersi qualificata svariati mesi prima per un Europeo nel frattempo slittato dall’estate del 2020 a quella del 2021 causa Covid. Ed ecco che si torna alla domanda posta in apertura: come è stato possibile tutto questo in appena tre anni?
Eppure c’era chi storceva il naso quando la Federazione scelse Roberto Mancini come Commissario Tecnico, gli stessi che ritenevano più adatto un profilo come quello di Carlo Ancelotti per ricostruire un gruppo che aveva mancato la qualificazione alla spedizione russa per lacerazioni interne prima ancora che per le colpe innegabili e manifeste del C.T. dell’epoca. Gli stessi, ancora, che ora sono “costretti” a riconoscere il grande lavoro svolto in questi due anni dall’ex allenatore di Lazio e Inter.
Allo spirito di squadra finalmente ritrovato e ad un’identità tattica precisa si è aggiunto il completamento di quel ricambio generazionale auspicato da tempo. Esaurito, per ragioni anagrafiche, il ciclo degli ultimi reduci del trionfo del 2006 con gli addii di Buffon, Barzagli e De Rossi, la Nazionale è passata definitivamente nelle mani dei vari Donnarumma e Bonucci, Chiellini e Florenzi, Barella e Jorginho, Immobile e Insigne. Nel frattempo si sono valorizzati giocatori come Locatelli, definitivamente recuperato alla causa dopo qualche difficoltà accusata nell’ultimo periodo milanista. Nel frattempo si sono affacciati giocatori all’occorrenza utili, quali D’Ambrosio ed Emerson Palmieri, Berardi e Bernardeschi, Acerbi e Bastoni.
Detto tutto questo, però, farsi travolgere dai facili entusiasmi sarebbe un errore marchiano e rischierebbe di essere anche controproducente. Il percorso di maturazione di questa squadra è ancora lungo e pensare che l’Europeo sia una formalità o poco più sarebbe il più grossolano degli autogol. Ma il mondo azzurro, in questi tre anni, è cambiato. Eccome se è cambiato.